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Gli effetti della crisi sulle retribuzioni: prime valutazioni

8 Giugno 2021

Tempo di lettura: 7 minuti

Gli effetti della crisi sulle retribuzioni: prime valutazioni

Al momento in cui scrivo, gli interventi del Governo a sostegno del reddito e dell’occupazione non consentono ancora di valutare appieno la portata della crisi in corso sulle retribuzioni degli italiani. Il blocco dei licenziamenti ancora in corso sta procrastinando un ulteriore aggiustamento al ribasso che molto probabilmente colpirà ulteriormente i lavoratori a bassa qualifica, e tra questi la componente femminile, che ha già visto un calo di oltre 300.000 posti di lavoro nel 2020. Una valutazione più completa la potremo fare forse a fine 2021, ammesso e non concesso che l’emergenza COVID-19 rientri finalmente, riportandoci alla (nuova?) normalità.
Leggendo il Salary Outlook 2021, alcune effetti appaiono già chiaramente: guardando alla retribuzione fissa, si conferma la sostanziale stagnazione che osserviamo da alcuni semestri.

Come noto, questa dinamica è strettamente legata alla limitatissima crescita della produttività: l’OCSE rileva che l’indice di produttività del lavoro, fatto 100 il 2012, per l’Italia nel 2019 si attestava a quota 102, contro il 109 dell’Unione Europea nel suo complesso. Ovviamente non ci aspettiamo che la pandemia abbia cambiato le cose in merito.

L’impatto della crisi COVID-19 si rileva più chiaramente analizzando l’andamento delle retribuzioni variabili, che mostrano, come era prevedibile, un forte calo sia nella misura, che arriva al -24% per gli impiegati e a -44% per gli operai, che nella platea dei percettori, con cali addirittura al 30% per gli operai. Molto meglio sembra essere andata a dirigenti e quadri, che invece hanno visto cali molto più contenuti sia in termini di misura della quota variabile, sia in termini di platea dei percettori

 

Per logica conseguenza, il calo delle retribuzioni globali annue è stato più forte per gli operai e gli impiegati, anche se buona parte di questi ultimi, insieme ai quadri e ai dirigenti, ha potuto beneficiare della “protezione” rappresentata dal ricorso allo smart working, che in qualche modo ha permesso di ridurre l’impatto della crisi per queste categorie, come dimostra un recente studio dell’Osservatorio JobPricing: Le dinamiche retributive al tempo del Covid.

In generale la pandemia ha acuito altri fenomeni che, oggi più che mai, dovranno essere al centro dell’agenda politica nei mesi che verranno:

– l’aumento delle diseguaglianze di reddito. Il calo delle retribuzioni ha colpito molto di più chi aveva già retribuzioni basse, ampliando la distanza dal vertice della piramide. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, il valore dell’indice di Gini, che misura le diseguaglianze di reddito nella popolazione è cresciuto dal 34,8 del 2019 al 41,1 del 2020

– la difficoltà dei giovani nell’accedere al mondo del lavoro, con un preoccupante aumento della schiera degli inattivi;

– il gender pay gap, che ha ripreso a crescere (11,5% nel 2020 contro 11,1% nel 2020), soprattutto, val la pena di ribadirlo, trainato da un maggiore differenziale fra gli operai. Le donne hanno visto la loro RAL media calare dello 0,7%, interrompendo un trend di crescita più veloce rispetto agli uomini che durava, pur con qualche battuta di arresto, da qualche anno.


L’analisi delle dinamiche salarialo durante la pandemia evidenzia una volta di più come l’investimento in competenze rappresenti per i lavoratori uno degli strumenti più efficaci di protezione dalle crisi economiche. Non solo, infatti, una formazione di livello universitario consente di accedere a percorsi di carriera più prestigiosi e quindi a retribuzioni più elevate, ma consente anche di superare meglio le turbolenze, anche quelle gravi come la crisi attuale. A fronte di un generale calo dell’occupazione del 2% nel corso della pandemia, infatti, tra i lavoratori con istruzione terziaria o superiore si riscontra tra il 2019 e il 2020 una crescita dell’1,1%.

Un ulteriore dato interessante è rappresentato dalla variazione delle retribuzioni dei lavoratori più giovani, che mostrano una crescita. Questo dato, che appare controintuitivo visto l’aumento della disoccupazione giovanile, è probabilmente legato al fatto che, in un contesto di generale difficoltà di accesso al mercato del lavoro, sono i giovani con maggiori competenze che sono riusciti con meno difficoltà a trovare una occupazione. Si conferma quindi ulteriormente il fenomeno di riduzione del “generation gap”: da qualche anno infatti le retribuzioni dei giovani crescono a tassi decisamente superiori rispetto alle altre classi di età.

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