Smart Working e Performance Management
31 Agosto 2021
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Smart Working e Performance Management
Secondo la definizione più diffusa, lo ‘smart working’ indica un approccio all’organizzazione del lavoro finalizzato ad aumentare i livelli di efficacia e efficienza nell’esecuzione della performance lavorativa attraverso: flessibilità – ovvero possibilità per il lavoratore di scegliere modi, tempi, luoghi e strumenti di lavoro- utilizzo di tecnologie digitali, riprogettazione degli spazi fisici di lavoro per favorire la collaborazione, una gestione delle relazioni di lavoro basata sulla fiducia e l’orientamento al risultato, e l’allineamento con gli obiettivi aziendali, in modo da soddisfare contemporaneamente gli interessi dell’organizzazione, dei lavoratori e dei clienti[1].
La centralità del Performance Management
Nonostante il potenziale innovativo e i possibili vantaggi pe tutte le parti in causa, la diffusione del fenomeno prima del COVID-19 era ancora abbastanza contenuta, in particolare in Italia come suggeriscono i dati sull’adozione del lavoro da remoto in Europa[2]. La sperimentazione forzata durante la pandemia ha colmato almeno in parte il gap e ha portato ad interrogarsi sulla possibilità che modalità di lavoro più flessibili possano essere mantenute con il ritorno alla normalità. A questo proposito, una recente indagine condotta da McKinsey[3] segnala un divario di aspettative tra lavoratori e manager: mentre i primi preferirebbero continuare ad utilizzare schemi flessibili anche dopo la pandemia, i secondi si aspettano un decisivo ritorno in presenza secondo modalità non sostanzialmente differenti da quelle in uso prima dell’emergenza sanitaria. Il dato è interessante e, in prima battuta, richiama alla memoria quella che viene considerata una delle principali condizioni abilitanti la diffusione dello smart working, ovvero la ridefinizione delle modalità di esercizio del controllo nella relazione capo-collaboratore.
È stato infatti argomentato come lo smart working richieda modalità di controllo basate sulla verifica del raggiungimento di obiettivi predeterminati di performance (output) o del possesso di capacità e abilità (input) piuttosto che dei comportamenti (conformità a procedure standard di esecuzione dei compiti rigidamente predeterminate)[4].
Da ciò deriva la centrale rilevanza accordata ai sistemi di performance management ai fini della riuscita dei progetti di smart working. La prescrizione rivolta alle aziende – indipendentemente dal settore in cui operano (pubblico vs. privato) o dalla loro dimensione – è quindi di migliorare i sistemi di misurazione e valutazione della performance, dedicando maggiore attenzione alla pianificazione, progettazione e controllo degli obiettivi e introducendo sistemi di incentivi monetari in grado di promuovere un maggiore orientamento al raggiungimento dei risultati[5].
Quale approccio al Performance Management?
In ambito privato, il dibattito ha recentemente fatto un passo in avanti, suggerendo che non basti adottare un sistema di performance management per obiettivi, ma occorra rinnovare l’approccio ‘tradizionale’ al management by objectives, ritenuto incapace di supportare la diffusione dello smart working perché espressione di una visione della valutazione della performance eccessivamente statica [6].
Le principali criticità riguardano: eccessiva enfasi su obiettivi individuali (a discapito della valutazione della performance di gruppo), definizione di obiettivi e feedback annuali (a fronte di obiettivi di business continuamente e rapidamente mutevoli), focus sulla valutazione della performance passata piuttosto che sullo sviluppo delle competenze e il miglioramento continuo della prestazione futura. Alcune delle soluzioni prospettate comprendono pertanto: definizione di obiettivi di gruppo e su orizzonti temporali di breve periodo (tendenzialmente ogni 1-3 mesi), feedback continui e a 360 gradi, sfruttando le opportunità offerte dalle tecnologie digitali.
Si tratta di suggerimenti che stimolano la riflessione, ma che per certi versi sembrano caratterizzati da un eccesso di semplificazione. Considerando, per esempio, il continuous feedback, la ricerca infatti suggerisce che esista una relazione a U invertita tra la frequenza del feedback e la performance; oltre una certa soglia, feedback troppo frequenti generano un sovraccarico cognitivo con conseguente riduzione del livello di performance e di apprendimento[7]. In generale, le soluzioni sopra richiamate sembrano riflettere un approccio poco sensibile alle specificità e alla eterogeneità dei processi lavorativi riscontrabili nelle singole situazioni concrete, anche all’interno della stessa organizzazione.
Ripensare il Performance Management o lo Smart Working?
Se dunque è importante che la riflessione sul rapporto tra performance management e smart working tenga conto delle specificità dei contesti, il primo passo è svolgere un’accurata job analysis e in particolare distinguere nell’analisi dei processi di lavoro due dimensioni fondamentali: il grado di certezza/incertezza che caratterizza gli obiettivi del processo di lavoro e il grado di certezza/incertezza relativa ai modi per conseguirli. Combinando le due dimensioni si possono distinguere 4 situazioni tipiche di valutazione[8].
Nel primo caso (A), sia gli obiettivi che i modi per raggiungerli sono caratterizzati da elevata certezza e stabilità nel tempo. Le prestazioni di lavoro sono eseguite senza necessità di interazioni dirette e sono coordinate attraverso la rigida predeterminazione di procedure di esecuzione dei compiti e la verifica in itinere della loro osservanza da parte dei singoli lavoratori. Se la prestazione è resa a distanza, l’uso di strumenti tecnologici può sostituire l’osservazione diretta da parte del supervisore ai fini del controllo dei compiti e delle attività. Infine, le condizioni di elevata certezza permettono di identificare il contributo separato delle singole attività/prestazioni al raggiungimento degli obiettivi. Pertanto, accanto a meccanismi di controllo dei comportamenti possono essere adottati anche sistemi di retribuzione variabile che premiano la produttività individuale, ovvero il raggiungimento di obiettivi predeterminati di performance fissati a livello individuale.
Nel secondo caso (B), gli obiettivi sono certi e relativamente stabili nel tempo mentre le modalità per conseguirli sono incerte. Quindi, non si può codificare la modalità più appropriata di esecuzione delle attività. Se non è possibile isolare il contributo individuale al raggiungimento degli obiettivi, il controllo si realizza combinando sia meccanismi basati sugli output (predeterminazione dei risultati complessivi di processo o di sue singole fasi) che meccanismi basati sugli input (predeterminazione delle conoscenze e capacità richieste per lo svolgimento delle attività), lasciando quindi ai singoli ampi margini di discrezionalità nella scelta dei modi di svolgimento delle attività in funzione della variabilità delle condizioni che caratterizzano la singola situazione concreta. La certezza degli obiettivi e la loro relativa stabilità nel tempo riducono la necessità di feedback e verifiche periodiche frequenti.
Nel terzo caso (C), sia gli obiettivi che i modi per conseguirli sono incerti. Nel quarto caso (D), infine, i mezzi sono relativamente certi, ma gli obiettivi sono incerti e mutevoli nel tempo. Entrambi i casi si riferiscono a processi di lavoro complessi e ad alto potenziale innovativo, il cui svolgimento si basa sulla produzione- da parte di gruppi di lavoro -di regole autonome durante l’esecuzione. Ciò permette lo sviluppo di nuove competenze, ma richiede feedback immediati e comunicazioni continue che riguardano, tra gli altri, conoscenze sempre almeno in parte tacite e quindi difficili da ‘trasferire’ in assenza di interazioni dirette. Per questo motivo, gli studi sottolineano come, in questi casi, il ricorso intensivo al lavoro da remoto e a comunicazioni mediate da dispositivi digitali rappresentino un fattore ostacolante la fluidità del processo. Per quanto riguarda la valutazione, l’incertezza e dinamicità degli obiettivi impediscono il ricorso a sistemi valutazione / gestione della performance basati sulla predeterminazione dei risultati da raggiungere (siano essi individuali o relativi al processo complessivo o a sue singole fasi). La valutazione si concentra piuttosto sul rapporto tra gli obiettivi desiderati del processo e i mezzi utilizzati o utilizzabili per cercare di raggiungerli. In altri termini, la valutazione verte sulla competenza, intesa come il saper valutare/giudicare la congruenza reciproca tra mezzi e risultati desiderati. A livello individuale, la valutazione comprende l’analisi degli eventuali scostamenti tra conoscenze tecniche (teorico-progettuali e applicative) richieste per l’esecuzione dei compiti e quelle effettivamente possedute dai soggetti e soprattutto in questi casi è opportuno che si avvalga di sistemi di feedback a 360 gradi. Ma per quanto riguarda l’utilizzo a questo fine di tecnologie digitali, le ricerche disponibili invitano alla cautela, sottolineando come anche gli strumenti più sofisticati rappresentino sempre- almeno dal punto di vista della ricchezza e profondità informativa- un sostituto imperfetto della comunicazione faccia a faccia tra soggetto valutato e valutatori.
In conclusione, l’analisi dell’eterogeneità che caratterizza le situazioni di lavoro e di valutazione sembra suggerire che non sempre e non necessariamente lo smart working imponga un ripensamento del cosiddetto approccio ‘tradizionale’ al performance management, poiché lo smart working può essere adottato in situazioni relativamente meno complesse (caso B) che non richiedono un approccio alla gestione della performance orientato al futuro. Quest’ultimo è adeguato nelle situazioni di maggior complessità (caso C e D), ma in tali casi presuppone un sostanziale ripensamento del modo più diffuso di pensare allo smart working. Una concettualizzazione in cui la valutazione del grado di raggiungimento di obiettivi predeterminati di performance lascia spazio al monitoraggio continuo del rapporto reciproco mezzi-fini e in cui il feedback continuo non può prescindere dall’interazione faccia a faccia e dalla compresenza fisica in azienda.
[1] CIPD (2014), HR: Getting Smart About Agile Working, Research Report, London; Lake A. (2015), The Smartworking Handbook, (2nd edition) Flexibility Ltd; A.A.V.V. (2015), Nuovi modi di lavorare: una panoramica sullo Smart Working, Rapporto di ricerca, Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano.
[2] Eurofound and the International Labour Office (2017), Working anytime, anywhere: The effects on the world of work, Publications Office of the European Union, Luxembourg, and the International Labour Office, Geneva.
[3] McKinsey & Company, It’s time for leaders to get real about hybrid, July 9 2021
[4] Errichiello L., Pianese, T. (2016), “Organizational Control in the Context of Remote Work Arrangements: A Conceptual Framework”, Performance Measurement and Management Control: Contemporary Issues (Studies in Managerial and Financial Accounting), 31, 273-305.
[5] Mergel I., Ganapati S., Whitford, A. B. (2020). “Agile: A New Way of Governing.” Public Administration Review, 81(1), 161–165.
[6] Schrage M., Kiron D., Hancock B., Breschi R. (2019), “Performance Management’s Digital Shift,” MIT Sloan Management Review and McKinsey & Company, February.
[7] Lam C. F., DeRue D. S., Karam E. P., Hollenbeck J. R. (2011). “The impact of feedback frequency on learning and task performance: Challenging the “more is better” assumption.” Organizational Behavior and Human Decision Processes, 116(2), 217–228.
[8] Cfr. Thompson J. D. (trad. it.). L’azione organizzativa, Isedi, Torino, 1990 (cap. 7); Albano R. (2013). Razionalità e regolazione organizzativa, in Albano R., Dellavalle M. (a cura di). Organizzare il servizio sociale, Franco Angeli, Milano; Melnyk S.A., Bititci U., Platts K., Tobias J., Andersen B. (2014). “Is performance measurement and management fit for the future.” Management Accounting Research, 25 (2), 173–186.
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