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Gender equality: quali strumenti nelle mani delle organizzazioni?

28 Luglio 2021

Tempo di lettura: 10 minuti

Gender equality: quali strumenti nelle mani delle organizzazioni?

Oltre l’approccio “compliance oriented”

La parità di genere è definita dalla commissione europea come “una condizione essenziale per un’economia innovativa, competitiva e prospera”.

L’impatto positivo della parità di genere, intesa non solo come pari opportunità, ma anche come valorizzazione della diversità, non riguarda solo le scelte politiche e macroeconomiche, ma permea l’intera società, trovando sempre maggiore attenzione e rilevanza anche all’interno delle aziende, soprattutto quelle che affrontano il fenomeno non solo come tema di compliance e responsabilità sociale, ma ne colgono anche gli impatti positivi dal punto di vista dei risultati. Impatti positivi sottolineati ormai da numerosi studi che evidenziano la correlazione positiva fra parità di genere e performance aziendale, non solo in termini di reputazione e responsabilità sociale, ma anche a livello economico-finanziario[1], di innovazione e di gestione delle risorse umane.

Le motivazioni di questa correlazione positiva trovano fondamento nel fatto che grazie alla diversità, le organizzazioni attente ai temi legati alla gender equality migliorano la propria reputazione[2], sono più capaci di attrarre e trattenere i talenti, di migliorare il customer focus e la fidelizzazione dei clienti[3], di essere più innovative, di raggiungere alti livelli di soddisfazione del personale, di prendere decisioni efficaci[4] e di garantire, infine, livelli di delega adeguati.

La parità di genere nei luoghi di lavoro, in conclusione, non solo è solo un tema di etica e di responsabilità sociale, ma, in definitiva, conviene anche sotto il profilo del business.

 

Buona la teoria, ma in pratica?

Nonostante le evidenze sopra riportate, i dati relativi alla parità di genere nel mondo del lavoro italiano, sono tutt’altro che positivi. Sebbene si tratti di un problema diffuso a livello globale, il nostro Paese risulta comparativamente uno di quelli più colpiti dal c.d. “gender gap” nei luoghi di lavoro: secondo il Global Gender Gap Report[5], l’indice italiano relativo alla partecipazione ed alle opportunità economiche delle donne (60,9/100) ci posiziona al 117° posto su 153 paesi. La capacità di guadagno delle donne (57,2/100), la parità salariale (53,3/100) e le possibilità di carriera in politica, nel pubblico e nel privato (31,3/100) ci vedono molto distanti dalla parità (100/100). Su tutte, quella particolarmente critica risulta essere la situazione del “gender pay gap” (il differenziale retributivo a parità di mansioni fra donne e uomini): l’Osservatorio JobPricing, che monitora il settore privato (ad esclusione di sanità e istruzione private), per l’anno 2020 ha registrato un pay gap calcolato sulla RAL annuale in Full Time Equivalent (FTE) pari all’11,5%, che arriva al 12,8% considerando la RGA.

La situazione appena delineata prende una piega paradossale alla luce delle disposizioni normative, italiane ed europee, che prevedono la parità di retribuzione a parità di lavoro. Il codice delle pari opportunità sancisce espressamente il divieto di discriminazione retributiva[6], e lo stesso fa la normativa comunitaria, in particolare l’art. 157 del TFUE, che dispone che «Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità della retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore».

Uno dei motivi per cui sono stati però compiuti così pochi progressi per quanto riguarda il rispetto del diritto fondamentale all’equità retributiva è evidenziato dal Comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni (2007): “Il Comitato rileva che le difficoltà nell’applicazione della Convenzione in diritto e nella pratica derivano in particolare da una mancata comprensione della portata e delle implicazioni del concetto di “lavoro di pari valore”.

 

E allora, cosa possono fare le organizzazioni in concreto?

Adottando un’ottica gender mainstreaming[7], anche le organizzazioni possono dotarsi di strumenti che possono in qualche modo ridurre le distorsioni (anche involontarie) legate alla percezione del valore del lavoro di lavoratori e alle lavoratrici. Uno, e forse il più importante di questi, è la job evaluation, il cui obiettivo è valutare, sulla base di criteri comuni, le caratteristiche dei ruoli all’interno di un’organizzazione, al fine di stabilirne il valore relativo[8]. In termini poi di parità retributiva per lavori di pari valore, questo metodo è in grado di assicurare che la retribuzione sia effettivamente legata all’importanza del lavoro, e non al genere della persona che ricopre il ruolo.

La Job Evaluation, infatti, è una metodologia di analisi organizzativa, che consente di determinare il «valore» dei ruoli di un’organizzazione sulla base di criteri «oggettivi» che descrivano il contributo al raggiungimento degli obiettivi aziendali: lo scopo è quello di attribuire un «peso» a ciascuna posizione – a prescindere dalla persona (e dal genere della persona) che la ricopre – in modo da rendere possibile un confronto fra ruoli, anche a livello inter-funzionale.

Le metodologie di pesatura si dividono in due macrocategorie: metodi qualitativi e metodi quantitativi. La prima macrocategoria confronta i ruoli e li classifica in base ai requisiti di base del lavoro, senza effettuare un’analisi dettagliata del loro contenuto ma valorizzando l’appartenenza ad una famiglia professionale (ad esempio Manager, Middle Manager, Specialist e Operative). I metodi quantitativi consentono invece di esaminare, valutare e confrontare sistematicamente tutte le esigenze di tutti i posti di lavoro di un’organizzazione, utilizzando criteri comuni, precisi e dettagliati. Il metodo quantitativo basato su punti e fattori, è riconosciuto come il metodo di valutazione più appropriato ai fini del pay equity perché, a differenza del metodo globale, permette di entrare in un livello di dettaglio più profondo, consentendo di portare alla luce eventuali pregiudizi e stereotipi legati al ruolo e alla persona che lo ricopre.

Le strategie di pesatura quantitative si affidano a un set di indicatori prestabiliti, a ciascuno dei quali viene associata una scala di punteggi. Dal punteggio complessivamente ottenuto dalla pesatura di ogni posizione ne deriva, in automatico, una classifica delle posizioni per ordine di importanza (dal punteggio più alto a quello più basso). Questa classifica consente poi non solo di raggruppare i ruoli in fasce omogenee, ma anche di evidenziare situazioni particolari. Per leggere in maniera analitica l’organizzazione, attraverso le fasce omogenee create con la job evaluation, è bene chiedersi:

  • A parità di appartenenza ad una fascia omogenea, le retribuzioni dei diversi ruoli sono simili o ci sono scostamenti significativi?
  • A parità di posizione le retribuzioni sono allineate? In caso negativo, l’organizzazione è in grado di spiegare perché?
  • Se alcuni individui hanno trattamenti non allineati al modello di Job Evaluation disegnato dall’organizzazione, questa è in grado di spiegare perché?

Grazie alla Job Evaluation è infine possibile strutturare politiche retributive e più in generale politiche del personale (formazione, sviluppo, etc.) in funzione del peso relativo delle posizioni organizzative e quindi secondo un principio di equità. Questo ultimo aspetto costituisce un asset fondamentale per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere all’interno delle organizzazioni: la valutazione del valore, e dei corrispondenti requisiti, dei diversi lavori sulla base di criteri comuni e oggettivi contribuisce a determinare sistemi retributivi più trasparenti, equi ed efficienti, migliorando le politiche retributive aziendali e le procedure di reclutamento e selezione.

[1] Il report “Diversity Wns. How inclusion matters” di McKinsey&Company, dimostra la correlazione tra il miglioramento della performance finanziaria dell’azienda e l’introduzione di politiche aziendali inclusive. Il report evidenzia che nei team esecutivi delle organizzazioni più impegnate nella gender diversity, c’è il 25% in più di probabilità di avere una redditività superiore alla media rispetto alle aziende meno impegnate. Inoltre, maggiore è la rappresentanza di generi diversi nei board, maggiore è la probabilità di sovraperformare: le aziende con più del 30% di donne dirigenti hanno maggiori probabilità di sovraperformare rispetto alle aziende con poca diversità a livello dirigenziale.

[2] Secondo il report dell’International Labour Organization “Women in Business and Management: The business case for change” le organizzazioni che promuovono una pratica e una cultura inclusiva hanno il 57,8% di probabilità in più di rafforzare la propria reputazione.

[3] Uno studio effettuato da Sodexo sul gender balance nelle organizzazioni, rivela che le organizzazioni più inclusive e bilanciate, ottengono il 9% in più di tasso di fidelizzazione dei clienti, rispetto alle imprese che non promuovono parità di genere.

[4] La ricerca “Hacking Diversity with Inclusive Decision-Making” ha mostrato come le imprese possono capitalizzare la diversità promuovendola nei team decisionali. I risultati mostrano che il processo decisionale migliora con l’aumentare dell’inclusività presente all’interno del team: un team formato da soli uomini prende decisioni aziendali migliori il 58% delle volte, ma questa percentuale aumenta fino al 73% se i team sono diversificati nel genere.

[5] Global Gender Gap Report 2021. https://www.weforum.org/reports/global-gender-gap-report-2021

[6] Art. 28, D. Lgs. 5/2010: “È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni».

[7] Per gender mainstreaming si intende l’idea che si debba approcciare il processo di policy-making, ad ogni livello ed in ogni materia, secondo una prospettiva di gender equality, che, ad un tempo, prevenga le differenze di trattamento basate sul sesso e promuova la diversità.

[8] Per una valutazione obiettiva ed equa dei lavori, tuttavia, è doveroso ricordare che i metodi di valutazione del lavoro dovrebbero essere liberi da pregiudizi di genere; in caso contrario, le dimensioni chiave dei lavori tipicamente svolti dalle donne rischiano di essere ignorate o valutate inferiori a quelle tipicamente svolte dagli uomini. Ciò si traduce nella perpetrazione della sottovalutazione dei posti di lavoro delle donne e nel rafforzamento del divario retributivo di genere. “Promoting Equity: gender-neutral job evaluation for equal pay. A step-by-step guide”. https://www.ilo.org/declaration/info/publications/eliminationofdiscrimination/WCMS_122372/lang–en/index.htm

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