Approvata la nuova direttiva UE sulla parità salariale: cosa cambierà per le imprese?
21 Aprile 2023
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Recentemente il Parlamento Europeo ed il Consiglio d’Europa hanno approvato il testo di una Direttiva “volta a rafforzare l’applicazione del principio di parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”.
Si tratta di un provvedimento che ha origine nel trattato costitutivo dell’Unione Europea, che prevede tra i principi fondamentali dell’Unione la necessità di garantire parità retributiva tra uomini e donne. Si tratta di uno degli elementi basilari della strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione Europea , e che è già stato oggetto di numerosi interventi normativi da parte delle istituzioni europee, a dire il vero senza particolare successo.
Proprio dalla constatazione che quanto fatto finora non ha portato i risultati attesi, viene la necessità di un nuovo intervento. Sebbene già esistano norme contro la discriminazione diretta ed indiretta (inclusa quella salariale), sia livello comunitario che nei singoli ordinamenti nazionali, nell’Unione Europea il cd. gender pay gap è ancora superiore al 13%. Tra i motivi di questo differenziale, la Direttiva individua l’insufficiente trasparenza dei salari nelle aziende, che impedisce di identificare con chiarezza le situazioni di discriminazione, e più in generale la mancanza di una definizione di “lavoro di pari valore”, che consenta confronti in termini retributivi tra persone che fanno lavori diversi, ma di medesimo valore per l’azienda.
Infatti, limitare il concetto di equità retributiva chi ricopre lo stesso ruolo non risolverebbe del tutto il problema della parità retributiva, e nemmeno basterebbe riferirsi a livelli contrattuali, che spesso sono stati usati, nelle aziende italiane, in modo improprio. Garantire equità effettiva richiede un ragionamento più esteso, che allarghi il confronto a ruoli assimilabili per requisiti professionali, competenze, impegno e responsabilità, che hanno quindi un medesimo “valore” per l’organizzazione. Per “misurare” il valore di un ruolo per un’organizzazione è necessario individuare dei criteri neutrali (cioè non influenzati dalle caratteristiche delle persone), che consentano un confronto il più possibile oggettivo, indipendente dalla persona che ricopre il ruolo stesso e dall’area funzionale cui appartiene, ed attraverso l’applicazione di questi criteri costruire dei gruppi di ruoli sostanzialmente omogenei in termini di peso organizzativo. Esistono numerose metodologie in tal senso, che, per quanto con differenze di approccio, possono essere assimilate nel concetto di “job evaluation”, una modalità di analisi organizzativa che serve proprio a definire dei grade (detti anche job cluster o band), cioè raggruppamenti di ruoli “di pari valore” su cui costruire una politica retributiva omogenea. La Direttiva prevede appunto che gli Stati membri definiscano per legge i principi ed i criteri base per indentificare i “lavori di pari valore” all’interno di un’organizzazione, che di conseguenza potrà costruire strutture retributive eque e neutrali.
Molto spazio, nel testo della Direttiva, è dedicato a precisare il concetto di trasparenza nei trattamenti salariali. Ci si riferisce alla possibilità, per chi lavora in un’azienda, di conoscere i livelli salariali applicati, in modo da poter valutare se si è oggetto di discriminazione e poter far valere i propri diritti in merito. Si tratta di una consuetudine abbastanza comune nei paesi anglosassoni, ancora poco applicata in Italia. Inoltre, l’obbligo di trasparenza si estende anche al momento precedente l’assunzione: la Direttiva prevede che sia reso disponibile il livello retributivo iniziale o la fascia retributiva di riferimento già negli annunci di lavoro, o comunque prima di un colloquio di lavoro. L’obiettivo di questa disposizione è che chi si candida per un posto di lavoro disponga di tutte le informazioni per valutare e negoziare in modo equo la retribuzione.
Inoltre, i datori di lavoro dovranno fornire informazioni rispetto ai criteri utilizzati per la determinazione delle retribuzioni e degli avanzamenti di carriera, garantendo che siano neutrali dal punto di vista del genere.
Ma come verrà applicato il nuovo set di norme? La Direttiva (che, giova ricordarlo, deve essere recepita dai Singoli Stati membri entro due anni dall’entrata in vigore) prevede che le aziende forniscano informazioni sulle retribuzioni ai lavoratori che ne facciano richiesta, i quali saranno tenuti alla riservatezza rispetto alle informazioni ottenute al di fuori dell’utilizzo per verificare e ottenere il rispetto dei loro diritti. Specifici obblighi di informazione sono richiesti per le aziende sopra i 250 dipendenti, che dovranno redigere un vero e proprio reporting sul gender pay gap. Nel caso dalle informazioni raccolte si evidenzi un gap retributivo medio tra uomini e donne, non giustificabile con fattori oggettivi e neutri dal punto di vista del genere, pari ad almeno il 5% su una o più categorie di lavoratori, l’azienda dovrà effettuare una valutazione congiunta della situazione con i rappresentanti dei lavoratori e porre rimedio alle situazioni di discriminazione salariale. Per fattori oggettivi e neutri dal punto di vista del genere si intendono criteri quali ad esempio l’anzianità di servizio, la performance espressa (che, attenzione, dovrà anch’essa essere valutata in modo neutrale), il livello di istruzione, le competenze espresse dalla persona, e così via. Quindi criteri che non siano riconducibili o influenzati dall’appartenenza a uno specifico genere.
Specifiche norme sono riferite poi alla modalità di “ripristino” dei diritti eventualmente violati, e alle sanzioni, che vogliono essere tali da dissuadere le imprese a porre in atto comportamenti discriminatori.
La Direttiva prevede che, in caso di violazione, la parità retributiva venga ripristinata attraverso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate (inclusi eventuali bonus variabili e retribuzioni in natura), oltre ad un eventuale risarcimento per i danni connessi a mancate opportunità e al pregiudizio morale. Inoltre, nel caso sia presumibile una discriminazione, o il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi di trasparenza previsti dalla Direttiva, è prevista l’inversione dell’onere della prova: sarà quindi l’azienda a dover dimostrare che non c’è stata discriminazione. Ovviamente, questo sarà più facile ove le politiche retributive siano effettivamente basate su criteri neutrali ed equi.
Per quanto riguarda le sanzioni a carico delle aziende, i termini specifici dovranno essere fissati dagli Stati membri in funzione della gravità, della durata, della volontarietà e della reiterazione dei comportamenti, ma potrebbero riguardare sanzioni pecuniarie, l’esclusione da sgravi contributivi e fiscali, e l’esclusione da procedimenti di gara per gli appalti pubblici.
In conclusione, la Direttiva rappresenta un passo necessario per avviare una trasformazione culturale effettiva nel mercato del lavoro dei Paesi dell’Unione verso una maggiore equità dei sistemi retributivi, in relazione, ma non solo, alle differenze di genere.
Molte aziende in Italia si stanno muovendo per adeguarsi alla norma. Rimani attrattivo: non rimanere indietro.
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