Come cambia la soddisfazione per lo stipendio al tempo del covid-19
… e quali indicazioni possiamo trarne per le politiche retributive
Come noto, gli studi che mettono in evidenza la natura non motivante, ma igienica della retribuzione sono molti. In particolar modo, è ormai ampiamente condiviso il punto di vista che il denaro – in quanto motivatore estrinseco – sia al massimo un acceleratore della motivazione, ma non la determini: in assenza di un “perché”, di un “purpose” ben radicato, lo stipendio non muove più di tanto il comportamento. D’altra parte” laddove esso non sia ritenuto adeguato, si può determinare addirittura una perdita di motivazione. Sappiamo, inoltre, che questo dipende prima ancora che dal quanto, dal come, ovverosia dalla percezione di equità e di meritocrazia: essere trattati allo stesso modo a parità di condizioni è la primaria preoccupazione delle persone e viene addirittura prima del livello salariale.
A fronte di queste premesse, un anno eccezionale come il 2020 può rappresentare un interessante banco di prova, visto che, per ovvi motivi, la crisi economica ha impattato pesantemente sulle retribuzioni per lo meno in tre modi: diminuzione degli stipendi per effetto della riduzione del numero di ore lavorate, congelamento dei livelli retributivi e, per i meno fortunati, perdita del lavoro e quindi dello stipendio tout-court.
Nella sesta edizione del nostro Salary Satisfaction Report, che sarà pubblicata a breve dal nostro Osservatorio, e di cui qui di seguito diamo qualche anticipazione, siamo andati appunto a cercare di comprendere se e come la percezione dei lavoratori sia cambiata nel 2020 a causa della crisi sanitaria e delle sue conseguenze sul mercato del lavoro.
La prima notizia è senz’altro che, a differenza di quello che si sarebbe potuto pensare, il livello medio della soddisfazione rispetto alla retribuzione è aumentato nel 2020 rispetto al 2019, passando da 3,7 su 10 a 4,4 su 10. Sebbene, quindi, si sia ancora in territorio negativo (< 5 su 10) si è avuto un notevole passo in avanti, per altro determinato da un miglioramento di tutti i sub-indici che compongono la valutazione complessiva della soddisfazione.
LIVELLO DI SODDISFAZIONE GENERALE PER LA RETRIBUZIONE (ANNO 2020)
Quanto sei soddisfatto in generale del tuo pacchetto retributivo?
Ancora più forte, poi, risulta il fatto che la soddisfazione generale approda addirittura in territorio positivo (5,1/10), se si chiede agli intervistati di tener presenti nella loro valutazione le difficoltà derivanti dalla pandemia.
LIVELLO DI SODDISFAZIONE GENERALE PER LA RETRIBUZIONE (ANNO 2020, SE CONSIDERA LA PANDEMIA)
Pensando all’anno appena trascorso e a tutte le difficoltà connesse, quanto sei soddisfatto di quello che hai effettivamente guadagnato quest’anno?
Visto che senz’altro nel 2020 i salari medi non sono aumentati, può sembrare un risultato sorprendente, tanto più se si considera che sono risultati più soddisfatti i lavoratori che dichiarano di lavorare in aziende colpite pesantemente dalla crisi sanitaria, rispetto a quelli che dichiarano di lavorare per aziende che hanno tratto beneficio dalla stessa (+7%). In realtà, si tratta, a ben vedere, di un esito molto coerente con l’idea che la retribuzione sia un fattore igienico prima che motivante. L’incremento del livello di soddisfazione, infatti, nella misura in cui – per ovvie ragioni – non può essere legato in generale ad un miglioramento salariale, dipende con ogni probabilità dal fatto che, siamo di fronte all’effetto “scampato pericolo”. In altre parole, in un periodo in cui lo stipendio è giocoforza a rischio, la soddisfazione aumenta perché la paura di perderlo è superiore ad ogni considerazione circa la sua inadeguatezza e se cala meno del previsto questa cosa viene apprezzata (in proposito, si tenga presente che il sondaggio è stato condotto su un panel di persone che nel 2020 hanno percepito una retribuzione): fra i soddisfatti il 44% lo è perché ha guadagnato quanto l’anno prima, il 18% è soddisfatto a prescindere dall’aspetto economico per fattori indiretti legati ai vantaggi dello smart working e un 6% si dichiara soddisfatto, sebbene abbia guadagnato meno che nel 2019. Dati, questi ultimi che, per altro, in una certa misura “risuonano” con l’idea introdotta dagli economisti comportamentali, che le persone, in generale, siano più sensibili alle perdite che ai guadagni.
Questi risultati (per un approfondimento vi rimandiamo al report completo che sarà pubblicato entro metà marzo) ci confermano aspetti importanti per la gestione delle politiche retributive, che, purtroppo, troppo spesso vengono sottovalutati dalle aziende. In particolare, ci sono due punti che vale la pena di sottolineare ancora una volta:
- La soddisfazione si conferma una questione relativa, anche quando si parla di salari: come si pensa di essere trattati dipende in gran parte da come pensiamo che stiano gli altri. Ne consegue che la costruzione di politiche retributive soddisfacenti per i lavoratori ed efficaci per le aziende non può prescindere da una percezione di equità, che deve essere adeguatamente costruita, non solo adottando criteri omogenei per la definizione dei salari e la loro progressione nel tempo, ma anche comunicandoli in modo adeguato (non a caso l’indagine 2021 rivela che esiste una correlazione positiva molto forte fra soddisfazione per lo stipendio e senso di equità percepita). Per tale ragione, la condivisione e l’effettiva comprensione dei principi che governano le retribuzioni da parte dei lavoratori non è semplicemente un’opportunità o una buona prassi, ma una parte imprescindibile di una buona politica retributiva (a conferma di e questo, nella survey 2021 sulla salary satisfaction, oltre ad esserci una correlazione significativa fra soddisfazione e comprensione dei criteri di gestione dello stipendio, quest’ultima ha anche una correlazione forte con il senso di equità percepita).
- La soddisfazione rispetto alla retribuzione deve sempre essere interpretata in una prospettiva di total reward. Il denaro è una parte importante, ma che deve essere collocata in un contesto più ampio, dove le opportunità di apprendimento e di sviluppo, il rapporto con capi, collaboratori e colleghi e più in generale con l’ambiente di lavoro sono altrettanto importanti, al punto che la soddisfazione, come si è visto, può anche migliorare in un contesto in cui una persona si trova a guadagnare meno dell’anno precedente e lavora per un’azienda messa particolarmente in difficoltà a causa del Covid-19.
Del resto, come si può vedere nella tabella sottostante, anche quest’anno si conferma che, prima della retribuzione, la scelta di restare in un posto di lavoro viene fatta prendendo in considerazione tutta una serie di altri fattori non economici. Non solo, la loro importanza è in continua crescita anno dopo anno.
PRINCIPALI MOTIVAZIONI PER RESTARE NEL POSTO DI LAVORO ATTUALE
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.