Retribuzioni e reward policy dopo il covid-19: alcune riflessioni
La crisi del COVID-19 è stata definita dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco “una crisi senza precedenti”. Tutti i dati macro economici disponibili lo confermano impietosamente.
Non stupisce che, in questo scenario generale, la dinamica delle retribuzioni, già asfittica da diversi anni, rischi di indebolirsi ulteriormente. Sappiamo, infatti, che da oltre dieci anni, soprattutto a causa di un andamento stagnante della produttività, le retribuzioni dei lavoratori italiani sono cresciute pochissimo in termini di RAL (retribuzione fissa) e che nei fatti solo la crescita progressiva della componente variabile, soprattutto negli ultimi cinque anni, ha contribuito a “muovere” un poco la situazione in termini di RGA (retribuzione globale), come evidenziato nei grafici sottostanti.
Andamenti RAL e RGA 2015 – 2019
L’attuale crisi pandemica, insomma, si è innestata in una situazione già debole. E da questo punto di vista non rassicura più di tanto dal fatto che al momento le retribuzioni (nominali) siano sostanzialmente ferme ai livelli del 2019 (+0,1% da gennaio ad agosto 2020). Questo dato, oltre ad essere sovrastimato perché comunque non prende in considerazione chi il lavoro lo ha perso, è verosimilmente l’effetto diretto del congelamento temporaneo del mercato del lavoro, dovuto, da una parte, ad una domanda che si è contratta per evidenti ragioni e, dall’altra, al blocco dei licenziamenti imposto a livello legislativo. Che dalla primavera prossima si potranno avere dinamiche retributive negative (sebbene alcuni settori ed alcune famiglie professionali potranno denotare andamenti in controtendenza rispetto a quelli generali) è una previsione che non richiede la sfera di cristallo, sebbene l’augurio sia che venga smentita.
In uno studio molto recente condotto con il Prof. Lorenzo Cappellari dell’Università Cattolica di Milano[1], abbiamo provato a simulare, sulla base dei primi dati disponibili, gli effetti del Covid-19 sui salari: ne è emerso che a fronte di una crescita del tasso di disoccupazione (+7%) e del tasso di inattività (+9%) si avranno nel 2021 riduzioni salariali in tutti i settori; che la struttura salariale del mercato del lavoro tenderà ulteriormente a polarizzarsi, con flessioni significative delle retribuzioni delle posizioni a media specializzazione; che il gender pay gap crescerà ancora; che le retribuzioni dei più giovani saranno le più penalizzate, ma che anche i lavoratori “anziani” potrebbero essere colpiti in modo significativo.
Sebbene da considerare con la cautela dovuta a qualsiasi previsione, soprattutto se basata su dati ancora limitati, si tratta di andamenti che, a ben vedere, sottendono un’accentuazione di dinamiche che sono al centro del dibattito sull’evoluzione del mercato del lavoro già da qualche anno. In questo senso, come spesso succede, parrebbe che la crisi in corso possa fungere da acceleratore di fenomeni che erano già in atto prima.
Sappiamo, infatti, e anche lo studio citato lo ha confermato, che, soprattutto a causa della c.d. “trasformazione digitale”, sono in atto rapidi cambiamenti nella domanda di lavoro, che sono destinati a riverberarsi anche sugli stipendi.
Il progredire dell’automazione, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’internet of things, i Big Data e più in generale la digitalizzazione dei processi di lavoro stanno già avendo ed avranno sempre più un impatto significativo sulla struttura occupazionale. Se i giudizi su quella che non a caso è stata anche definita la “quarta rivoluzione industriale” sono contrastanti, per alcuni una minaccia in termini di occupazione, per altri un’opportunità, quel che è comunemente accettato è che il lavoro tecnologico richiede competenze nuove e di grado più elevato, non solo a livello tecnico, ma anche in per quanto concerne le competenze non sostituibili dalle macchine, le “soft skill”, che, infatti, sono tornate prepotentemente al centro del dibattito fra gli esperti del mercato del lavoro e della gestione delle risorse umane. Gli esseri umani, in sintesi, saranno sempre più coinvolti nelle c.d. non routine task, che per definizione non possono essere automatizzate. Tale evoluzione si prevede impatterà in modo negativo soprattutto le professioni intermedie, perché saranno quelle per le quali l’automatizzazione è relativamente semplice e l’impatto sui costi più significativo. La domanda, quindi, si concentrerà sugli estremi: da un lato, le professioni altamente fungibili a bassa specializzazione, ma che non conviene automatizzare (in particolare nei servizi); dall’altra quelle che richiedono livelli di istruzione formale e competenze professionali elevate.
Stima della variazione % del salario per livello professionale in base all’incremento del valore della laurea
Non solo. Sappiamo anche che nel nuovo mercato del lavoro il tasso di obsolescenza delle competenze sarà particolarmente alto. Lo studio, il re-skilling e l’up-skilling, diventeranno, allora, una necessità assoluta per le aziende e quindi un ulteriore fattore critico in termini occupazionali con possibile riduzione del valore della seniority. L’effetto finale sarà una polarizzazione del mercato del lavoro (che in realtà stiamo già osservando da qualche anno) e, di conseguenza, delle retribuzioni con un premio salariale elevato legato al capitale umano ed in particolare al livello di istruzione. In questo senso non pare esagerato sostenere che ancora più di oggi retribuzione nel futuro farà rima con istruzione.
Ral media per livello di istruzione
In un simile contesto quali sono le indicazioni per la gestione delle politiche retributive?
Per dare una risposta, oltre all’impatto delle dinamiche occupazionali sulla struttura salariale, di cui abbiamo detto fin qui, che rappresentano il quadro di riferimento per le valutazioni relative alle scelte di posizionamento nel mercato che ogni impresa dovrà affrontare, occorre considerare un altro aspetto: quello delle trasformazioni organizzative già in atto prima della crisi pandemica e che ora hanno preso una fortissima accelerazione. Sono, in particolare, tre gli elementi che paiono decisivi in tal senso: 1) la trasformazione digitale; 2) lo sdoganamento dello smart working; 3) l’evoluzione dei modelli di leadership.
Per quanto concerne il primo aspetto, la digitalizzazione dei modelli di business e dell’organizzazione del lavoro significa in primo luogo mettere il focus sulla produttività e sull’efficienza dei processi, che mentre diventano più lean e a valore aggiunto, diventano anche più facili da analizzare in termini di performance. Ne deriva un’evoluzione culturale che comporta lo spostamento da un concetto del lavoro basato sull’intensità e sulla durata della prestazione ad uno che si concentra sul contributo di ogni persona in termini di output effettivo e di risultati.
Tale evoluzione, per altro, viene rafforzata dal secondo aspetto, quello che vede lo smart working (o meglio il lavoro a distanza per ora) come un elemento non più eccezionale, ma normale: anche il sindacato si sta muovendo verso una richiesta di normare questa “nuova” modalità di lavoro secondo criteri che non possono essere quelli utilizzati fin qui per il lavoro in presenza e che, giocoforza, se vogliono proteggere il lavoratore dal controllo a distanza e garantirgli il sacrosanto diritto alla disconnessione, devono responsabilizzarlo nei confronti della performance.
La pandemia, infine, se mai ve ne fosse stato bisogno, ha plasticamente dimostrato l’esigenza per le organizzazioni di essere flessibili e adattive, capaci di confrontarsi con contesti c.d. V.U.C.A. (Volatile, Uncertain, Complex, Ambiguous), che richiedono di superare definitivamente modelli di leadership basati sul controllo, a favore di una visione che mette purpose, engagement e responsabilità al centro.
Se mettiamo insieme queste evoluzioni sul fronte interno alle organizzazioni con quelle che abbiamo descritto rispetto al mercato del lavoro in generale e alle connesse dinamiche retributive, si possono identificare alcuni driver fondamentali per le reward policy del prossimo futuro:
EQUITA’:
in uno scenario di domanda scarsa, di incertezza sul futuro e di retribuzioni piatte (e con budget del personale presumibilmente compressi) il problema principale non sarà quello del corretto posizionamento nel mercato, quanto piuttosto quello della corretta gestione dell’equità, cioè l’esigenza di assicurare retribuzioni omogenee in base al ruolo ed alla prestazione. La miglior forma di protezione dei talenti in questo senso sarà quella di assicurare loro condizioni “igieniche” di base, curando con molta attenzione il collegamento fra valore del lavoro e valore della persona in termini di compensation.
PERFORMANCE:
il lavoro tecnologico e l’evoluzione organizzativa che ne deriva, come si è detto, mettono al centro competenze e prestazioni. I sistemi retributivi, pertanto, dovranno essere in grado di esprimere al meglio tale evoluzione, soprattutto in due modi: i) agganciando in modo sistematico le retribuzioni a sistemi di valutazione delle skill e della performance; ii) aumentando il peso della parte variabile del compensation mix.
TEAM:
se la performance dovrà essere l’architrave delle politiche retributive, essa assumerà, stante le trasformazioni del mercato del lavoro delle organizzazioni di cui s’è detto, meno una dimensione individuale e più una dimensione collettiva. E le politiche retributive dovranno recepirlo, tanto a livello di gestione meritocratica e di salary reviews, quanto a livello di costruzione e implementazione dei sistemi incentivanti.
TIMING:
se il mondo del business e del lavoro è più incerto e veloce, con obbiettivi che cambiano anche molto velocemente, alle persone saranno richieste sempre di più capacità di adattamento e flessibilità operativa. Lo “spezzettamento” dei cicli di reward, pertanto, sarà la risposta fisiologica per mantenere il necessario collegamento tra retribuzione e prestazione. A parità di spesa nel corso di un dato periodo, insomma, la frequenza degli interventi retributivi, si tratti di aumenti di merito della parte fissa o di incentivi variabili, dovrebbe aumentare e il valore unitario di ciascuno diminuire.
INTANGIBLES:
sempre di più la remunerazione dovrà essere gestita in un’ottica di Total Reward, cioè partendo dalla consapevolezza che gli elementi tangibili (cash e benefit) potranno ridurre progressivamente il loro peso nel “package” complessivo dei lavoratori a favore di quelli intangibili (sviluppo e ambiente di lavoro). In particolare, si tratterà, da un lato, di gestire al meglio e di valorizzare la remunerazione “indiretta” (miglior work life balance, flessibilità degli orari, riduzione del c.d. “cost of working” per gli smart worker, facilities, etc.) e, dall’altro, di investire non soltanto sul valore attuale delle persone, ma anche sul loro valore futuro, il che significa indirizzare risorse in modo sistematico verso lo sviluppo professionale, l’up-skilling ed il re-skilling, concependole non solo come investimenti funzionali alla competitività dell’azienda nel business, ma anche utili per garantire l’occupabilità nel tempo dei lavoratori, assicurando loro un rendimento futuro, oltre la retribuzione monetaria. Tale investimento da parte dei datori di lavoro, ove necessario, potrebbe essere protetto agganciandolo a sistemi d’incentivazione a lungo termine, come parte di un pacchetto complessivo di LTI ed essere soggetto, per esempio, a clausole assimilabili a quelle c.d. di “claw-back”.
DIFFERENZIARE:
il filo rosso che collega tutti e cinque i punti precedenti, infine, è quello che imporrà alle aziende un’estrema cura nel gestire il trade-off fra equità da un lato ed esigenze di personalizzazione dell’offerta retributiva dall’altro. È chiaro, infatti, che l’evoluzione sia quella di sistemi retributivi sempre più articolati per rispondere a esigenze ed aspettative individuali, sia in ragione del lavoro svolto, sia in ragione delle modalità di svolgimento dello stesso. Inoltre, la leva della parte intangibile del reward potrà essere attivata in maniera tanto più efficace, quanto più potrà essere declinata sulle esigenze specifiche di ogni lavoratore in termini di sviluppo professionale e di bilanciamento fra vita privata e lavoro. Ciò comporta che le “regole del gioco” assumeranno un’importanza decisiva. La possibilità di differenziare senza compromettere l’equità interna, infatti, presuppone una precisa definizione dei criteri di differenziazione in base alle caratteristiche della popolazione aziendale (professionali e di prestazione), un’applicazione rigorosa di tali principi e, da ultimo, ma non meno importante, una comunicazione chiara e trasparente degli stessi. Le politiche retributive, insomma, non solo dovranno essere ben strutturate, ma non potranno più restare nei cassetti.
[1] The Future of Rewards, Badenoch & Clark/JobPricing, Ottobre 2020
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.