I sistemi di incentivazione economica
I sistemi di incentivazione della performance in azienda sono da sempre croce e delizia degli HRM: da tutti invocati, leva potente per il management, ma anche insidia nella quale non si deve inciampare.
Sono, non a caso, definitivi sistemi: vocabolario alla mano, una connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario. Tradotto in aziendalese: attenti che se manca un solo ingranaggio, o qualche dentatura non intercetta correttamente la successiva, la forza dirompente che ci attendiamo di vedersi scatenare, non si paleserà.
Definire il proprio sistema incentivante significa non solo definire quali categorie professionali premiare, quali ruoli, quali livelli organizzativi, quali obiettivi… ma anche, specularmente, decidere (ed è meno facile), quali categorie, ruoli, inquadramenti, obiettivi invece eventualmente trascurare; il tutto con potenziali effetti di disincentivazione. Se non vogliamo cimentarci su questo terreno insidioso, possiamo (credo più saggiamente) costruire un sistema di incentivazione che riguardi l’intera popolazione aziendale, ovviamente progettando sotto-sistemi dedicati ai differenti target.
Un sistema di incentivazione ha, in generale, lo scopo di orientare i comportamenti dei lavoratori in modo tale che diventino funzionali al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Serve quindi ad accrescere la motivazione del lavoratore ed a indirizzarla correttamente, scomponendo gli obiettivi macro aziendali in risultati più comprensibili per il singolo e rispetto ai quali abbia una maggiore capacità di influenza. L’incentivazione economica non è ovviamente la sola leva motivazionali azionabile dall’impresa.
Una volta definito il nostro sistema di incentivazione i lavoratori saranno infine legittimati a seguirlo, orientando il proprio agire come indicato. L’esempio da manuale più classico ci ricorda che se assegniamo alla sales force obiettivi ambiziosi di acquisizione di quota di mercato, potremmo ritrovarci, in assenza di correttivi, con crediti di scarsa qualità tra le mani.
Con queste premesse, definire efficacemente gli obiettivi non è così scontato, in particolare se oltre al raggiungimento di kpi propriamente intesi vogliamo anche misurare il possesso e la spendita di competenze soft, o manageriali. Certo, tutte le imprese hanno di norma l’obiettivo ultimo di massimizzare il valore generato per i propri soci nel medio-lungo termine, ma se ci allontaniamo da considerazioni scontate è necessario conoscere bene la propria realtà: copiare dal vicino di banco, in tema di incentivazione, può essere pericoloso.
Costruire un sistema di incentivazione può essere anche l’occasione per un bel percorso di introspezione organizzativa, se non si è avuta occasione di farlo altrimenti, derivandone un utile modello delle competenze da innestare nel sistema che stiamo costruendo. Da dove partire? Dall’analisi di mission, vision e valori (qual è il nostro scopo? Chi siamo? In cosa crediamo?), per proseguire con l‘individuazione della proposta di valore (che valore portiamo al cliente e agli stakeholder? Che cosa ci distingue? Perché ci dovrebbero scegliere?) e terminare con l’analisi della struttura organizzativa e dei sistemi operativi (come siamo organizzati? Come operiamo? Che cosa facciamo ogni giorno?). Si passa poi ad individuare i comportamenti organizzativi coerenti ed efficaci per realizzare tutto questo e ad isolare le competenze comportamentali (il modello delle competenze) che vogliamo premiare laddove possedute ed agite dai nostri dipendenti.
Come accennavo, può essere opportuno (ed un tantino ambizioso) progettare un sistema che non trascuri nessuno dei nostri collaboratori. Per operai ed impiegati con compiti esecutivi l’incentivazione può concretizzarsi nella previsione di un premio di risultato, di natura quindi collettiva ed in grado di soddisfare per sua natura anche le esigenze di concertazione sindacale. Rispetto ad obiettivi di gain sharing, pur plausibili, credo siano da preferisce quelli di profit sharing perché più coerenti con l’idea di redistribuzione del plusvalore creato. Certo, anche un premio legato al risultato economico di esercizio è ben lontano dall’essere perfetto: di difficile comprensibilità per i non addetti ai lavori, con scarsa possibilità di condizionarne l’esito (scarso indice di contribuzione), filtrato dalle politiche di bilancio adottate. Con queste premesse, se come si diceva vogliamo che il nostro incentivo orienti i comportamenti dei lavoratori in modo tale che diventino funzionali al raggiungimento degli obiettivi aziendali, può essere utile introdurre un correttivo individuale (ad esempio sotto forma di moltiplicatore del premio base) che dimostri attenzione nei confronti del singolo. Partendo dal modello delle competenze che abbiamo costruito possiamo isolarne alcune di immediata comprensione, caratterizzate da descrittori semplici e declinati con una terminologia adatta alla popolazione di riferimento. Obiettivi chiari e condivisibili sono i soli a potere essere interiorizzati.
Per professional, quadri e dirigenti possiamo invece congegnare un sistema di incentivazione più sofisticato, che assegni a ciascuno una “scheda obiettivi” dove siano presenti obiettivi corporate (per uniformità suggerisco il medesimo parametro scelto per il premio di risultato), obiettivi di business unit/di team e obiettivi individuali, a loro volta suddivisi tra kpi e comportamentali. Un algoritmo di scoring ben congegnato (e che abbia superato simulazioni prima di essere rilasciato, mi raccomando) determinerà le condizioni di accesso al premio, il riconoscimento eventuale dell’over performance e l’incentivo in ultimo riconosciuto.
Fin qui abbiamo parlato della costruzione del sistema, ma altrettante critico è il processo di condivisione tra valutato-valutatore, nelle due fasi essenziali dell’assegnazione degli obiettivi e della valutazione ex post della performance. Non è raro incorrere nell’errore di trascurare questi aspetti, invece fondamentali per l’interiorizzazione degli obiettivi e quindi per l’efficacia del sistema nel suo complesso.
Se per la popolazione che accede al premio di risultato, anche nell’ipotesi di introduzione del correttivo individuale, la fase di assegnazione individuale non è necessaria e quella di restituzione può essere sintetica (ma comunque presente), il discorso diventa più complesso per chi è assegnatario di un sistema di obiettivi customizzato. Per ciascuno di questi collaboratori (ragionevolmente una popolazione che per sua natura dovrebbe avere una ampiezza “gestibile”) è invece necessario prevedere formalmente un colloquio di assegnazione degli obiettivi da parte del proprio responsabile, eventualmente supportato dalla funzione HR o da questa formato al ruolo (con la precisazione che “assegnazione” significa anche discussione, comprensione, negoziazione, condivisone…) ed uno di restituzione ex post (il c.d. colloquio di feedback), nel quale vagliare analiticamente i risultati raggiunti. Questa seconda fase è indispensabile affinché il lavoratore percepisca il sistema di incentivazione come equo e meritocratico; affinché possa riconoscere un nesso causale tra il comportamento agito ed il premio a lui riconosciuto. Laddove questa percezione manchi, non potrà che minare l’efficace del ciclo di assegnazione successivo.
Il colloquio di feedback assume una rilevanza ancora maggiore laddove non siano maturate le condizioni di erogazione del premio, magari anche a fronte di un impegno individuale pur meritorio, ma maturato in un contesto di performance aziendali complessive deludenti (situazione quanto mai realistica in questo particolarissimo anno 2020). Se il riconoscimento di un premio, anche in assenza di feedback, può evidentemente incorporare la valenza di rinforzo positivo, è soprattutto quando il premio monetario manca che un feedback esaustivo e ponderato diventa fondamentale per riconoscere il merito individuale e creare motivazione. A maggior ragione quando, in uno scenario difficile, più ne abbiamo bisogno.
Responsabile Sviluppo Risorse Umane - C.M.B. Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi