COLLEGARE PERFORMANCE E RETRIBUZIONE: Problema o opportunità?
Il problema del rapporto fra retribuzione, meritocrazia e carriera è senz’altro complesso e presenta diverse sfaccettature. Negli ultimi 50 anni, comunque, un punto è stato messo raramente in discussione: l’idea che la gestione della compensation (livelli retributivi, aumenti, incentivi) debba essere fortemente integrata, se non addirittura subordinata, alla valutazione della performance individuale. Si tratta di un paradigma molto forte e pervasivo, che, come noto, ha dato un grande impulso alla diffusione di sistemi d’incentivazione nelle aziende (per lo meno fra i manager) ed ha trovato la sua formula di elezione nei sistemi c.d. di MBO (Management by Objectives).
Oggi, tuttavia, quello che poteva sembrare un dogma sembra aver perso parte del suo potere fideistico. La trasformazione in atto nel modo di pensare alle organizzazioni, dall’approccio “agile”, fino ad arrivare alle frontiere delle organizzazioni c.d. “teal” ed “olocratiche”, ha messo infatti in discussione alcuni assunti base dei modelli di gestione a delle politiche retributive che conoscevamo. In particolare, si sono messi sotto accusa due criteri, che parevano non opinabili fino a qualche tempo fa: che se si vogliono prestazioni migliori bisogna incentivarle economicamente in modo diretto; che gli incentivi per essere efficaci, devono premiare il merito individuale.
Al contrario, secondo il nuovo punto di vista, collegare premi economici alla prestazione individuale, non solo non funziona, ma a ben vedere può essere controproducente. Infatti, i sistemi “tradizionali” d’incentivazione, proseguono i loro critici, nella misura in cui concentrano l’attenzione delle persone su obbiettivi specifici ed esclusivi, tendono a limitare la capacità e volontà delle stesse di collaborare al di fuori di tale perimetro, creando per questa via silos organizzativi e competizione, che possono compromettere i risultati generali. Non solo, collegando la prestazione individuale a schemi incentivanti, si rischia poi che le persone perdano di vista la “big picture”, il “perché” del loro lavoro, finendo per avere un approccio passivo/ reattivo, in cui la prestazione “offerta” si limita a quella prescritta e codificata negli obbiettivi personali. Infine, ma non meno importante, i critici non mancano di mettere in luce un problema noto come “sandbagging”, cioè la costruzione di barriere negoziali fra le persone ed i loro manager, tali per cui i primi giocano al ribasso nella definizione degli obbiettivi, così da aumentare il livello di probabilità di ottenere i bonus, e i secondi, scontando questo aspetto, tendono a sovrastimarli. L’esito finale di questo processo distorto, tuttavia, è che gli obbiettivi vengono fissati in modo inefficiente e sono l’esito o di un compromesso (sub-ottimale per definizione) o della gerarchia (con evidenti problemi in termini motivazionali). In tali circostanze è abbastanza evidente che, tanto più il sistema d’incentivazione è esteso all’interno dell’organizzazione, tanto è più forte il rischio di obbiettivi non coerenti con le vere esigenze aziendali.
Alle critiche di cui sopra, se ne aggiunge un’ultima relativa al processo di gestione degli schemi incentivanti “tradizionali”. Di norma, tal processo è sincronizzato su base annuale con quello di performance management e, in particolare, al momento di assegnare gli obbiettivi vengono comunicati i bonus teorici e in fase di colloquio finale di valutazione vengono comunicati i bonus effettivi che saranno pagati. Si è fatto notare, giustamente, che un simile approccio rischia di alimentare una nefasta equazione fra prestazioni ed incentivi, tale per cui il focus, invece di essere posto sull’analisi e condivisione di obbiettivi e risultati, finalizzata allo sviluppo professionale e personale della persona, viene messo sul denaro, degradando e rendendo sterile l’attività di performance management.
Naturalmente, per chi vede le cose in questo modo, l’approccio al tema del rapporto fra retribuzione e carriera non differisce molto. A questo livello, infatti, ciò che viene messo in discussione è l’idea della crescita professionale come crescita “verticale” e, di conseguenza, viene messo parimenti in discussione il principio per cui la crescita retributiva deve essere associata alla progressione di carriera. Partendo da un approccio all’organizzazione non gerarchico (o per lo meno molto meno gerarchico) il tema della gestione retributiva viene qui sganciato dalla posizione in organigramma ed agganciato, piuttosto, al contributo del singolo alla performance generale. Il cursus honorum, in altre parole, cessa di essere un parametro di valutazione della performance nel medio-lungo periodo e, pertanto, non determina più il livello retributivo.
Dato quanto si è detto fin qui, quale dovrebbe essere, allora, l’approccio alla politica retributiva? In particolare, davvero è necessario smantellare il vincolo forte fra prestazione e remunerazione, che è stata alla base dei sistemi retributivi e premianti fino ad oggi e che ha avuto il suo “campione” nel MBO? Le aziende devono virare, inoltre, verso modelli in cui retribuzione e performance sono indipendenti e in cui, comunque, non si incentivano prestazioni individuali, ma soltanto collettive?
A parere di chi scrive, il rischio è che la questione, se affrontata in questi termini, possa essere fuorviante, come sempre, del resto, quando si generalizza.
Se, infatti, la prestazione è correttamente intesa come il contributo che ogni individuo apporta all’organizzazione, allora, davvero si può pensare a una dimensione di governo della compensation che sia più equa e meritocratica? Se, poi, come ci dicono psicologi e neuroscienziati, gli incentivi individuali sono uno stimolo che non determina la motivazione (intrinseca), ma che tuttavia la rinforza e la sostiene quando c’è, davvero dobbiamo considerarli come un problema, piuttosto che un’opportunità? Infine, se è vero che la carriera sempre di più si svilupperà in direzione non gerarchica, ma knowledge-based, questo avrà davvero un impatto sul legame fra prestazione e retribuzione, o piuttosto si tratterà di ripensare ai modelli di definizione, analisi e valutazione della performance?
Per quanto è possibile osservare dalla nostra prospettiva di consulenti aziendali, se le critiche di cui abbiamo dato conto sono in gran parte ben indirizzate e fondate, questa diagnosi talvolta rischia di condurre a una cura sintomatica, piuttosto che alla soluzione del problema. La reale criticità, infatti, non sta nel principio ispiratore (che per noi resta sano), ma nelle sue modalità applicative. Non è scollegando retribuzione e prestazioni che si otterranno persone più motivate e prestazioni migliori, ma creando un collegamento fra le due dimensioni che sia coerente con la cultura, i valori e gli obbiettivi dell’organizzazione. E che naturalmente tenga presente come funziona la motivazione umana.
Esistono modelli di performance management differenti che funzionano bene o male, che si tratti, per citare due modelli messi spesso in contrapposizione, di MBO o di OKR. Esistono sistemi retributivi che sono percepiti come equi e meritocratici proprio perché collegano performance e retribuzione ed altri che, per la stessa ragione, non lo sono. Ed esistono, infine, schemi di incentivazione individuali o collettivi, che muovono comportamenti funzionali ai bisogni organizzativi e altri che non hanno alcun impatto o addirittura sono disfunzionali.
La differenza vera, a quanto abbiamo potuto constatare, sta nell’infrastruttura culturale.
I sistemi di gestione in cui prestazioni e retribuzione sono collegati in modo diretto, anche mediante politiche di incentivazione, funzionano se:
- La performance viene vissuta da ogni persona come il suo “contributo” individuale alle prestazioni collettive e alla generazione di “Valore” per tutti i portatori d’interesse dell’organizzazione;
- esiste una forte integrazione ed interdipendenza fra gli obbiettivi degli individui e quelli del team di cui fanno parte;
- ad ogni livello dell’organizzazione, tutti gli obbiettivi sono chiaramente riferibili e costantemente ricondotti dai leader alla “Mission” ed al “Purpose” dell’organizzazione;
- La gestione della performance non è confusa con la valutazione della stessa e non è limitata a momenti predefiniti in un processo formale, ma si sviluppa nel quotidiano in un rapporto di scambio aperto e continuativo fra ciascun manager ed il suo gruppo di lavoro;
- le regole di gestione retributiva e i meccanismi di incentivazione sono trasparenti e uniformi;
- gli incentivi sono riferiti a obbiettivi nella sfera di controllo dell’individuo a cui si applicano, privilegiando aspetti di natura operativa e comportamentale e non solo economico-finanziari.
Come è facile intuire, il fattore decisivo affinché tutti questi prerequisiti siano rispettati, non ha a che fare, se non in modo parziale, con la struttura e l’impostazione tecnica dei modelli di performance management o di compensation e sul loro collegamento formale, ma si fonda su valori, principi e comunicazione: è il lavoro dei manager, è il lavoro dei leader. Se questo lavoro è ben fatto, il collegamento fra prestazioni e retribuzione, diventa un’arma in più a loro disposizione per soffiare sul fuoco della motivazione individuale e ravvivarlo, ricordando sempre, però, che non è lo strumento per accenderlo.
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.