La retribuzione variabile incentivante è uno strumento che può rispondere a diverse esigenze aziendali a seconda di quali sono i soggetti interessati da tale strumento. Infatti, se per gli inquadramenti impiegatizi o operai, la retribuzione variabile non sempre è direttamente connessa con risultati economici (anche per la difficoltà di stabilire un nesso tra la prestazione e i risultati aziendali) e normalmente ha lo scopo di contribuire al miglioramento della qualità della vita dei dipendenti, rafforzando il senso di appartenenza all’azienda, per le figure apicali che possono direttamente incidere sul business, la parte variabile è invece direttamente connessa ai risultati e ha lo scopo di rafforzare la motivazione all’incremento del business e contemporaneamente attuare politiche di retention nei confronti delle risorse strategiche.
I. La retribuzione variabile è quella parte della retribuzione che, stabilita sulla base di regole definite a priori, è corrisposta al raggiungimento di obiettivi concordati. L’incentivo è definito come uno stimolo che serve per dirigere e potenziare i comportamenti delle persone.
Quindi un sistema di retribuzione variabile per configurarsi come un sistema incentivante deve rispondere ai seguenti pre-requisiti: (i) gli obiettivi devono essere negoziati o comunque condivisi; (ii) devono essere raggiungibili secondo un criterio di normale prevedibilità; (iii) deve sussistere la possibilità per il lavoratore di influire sull’obiettivo; (iv) le somme riconosciute devono costituire una percentuale apprezzabile della RAL annua.
Vi possono essere diversi modelli di retribuzione variabile incentivante.
Vi sono modelli di profit sharing che assumono come base di riferimento non un risultato individuale o di gruppo ma una prestazione aziendale. Tale sistema di retribuzione è più adeguato per livelli manageriali in quanto solo tali figure possono influenzare direttamente il profitto e sono, pertanto, in grado di supportare il rischio di collegare l’incremento della propria retribuzione al risultato aziendale. In generale il profit sharing viene impostato considerando valori di performance aziendali quali, ad esempio, l’EBIDTA.
Vi sono, poi, modelli di gain sharing che, pur avendo uno schema simile ai modelli di profit sharing, si focalizzano su alcune voci di costo e sulla qualità e non sul profitto. I risultati possono riguardare l’impresa nel suo complesso o unicamente una sua parte (ad esempio una divisione o un’unione organizzativa) ma in ogni modo questi strumenti non puntano tanto a premiare la singola prestazione individuale quanto a favorire la creazione di un clima di collaborazione orientato all’ottimizzazione della prestazione complessiva. Tale sistema di retribuzione è efficace se nelle aree coinvolte da tali tipi di incentivazione esistono margini di recupero di efficienza significativi.
Una particolare evoluzione dei modelli di gain sharing è rappresentata dai team bonus che si riferiscono a performance conseguibili dal team soggetto al sistema incentivante. Spesso vengono utilizzati in organizzazioni non ancora pronte ad estendere i sistemi incentivanti a tutto il personale e che quindi concentrano e sperimentano alcune dinamiche legate a specifici progetti strategici.
Infine, vi sono i veri e propri incentivi individuali che possono essere costruiti o su obiettivi quantitativi o miranti a premiare specifiche competenze (cd. Sistemi Pay for Competence).
In questo contesto, come si è avuto modo di anticipare, vi sono sistemi di incentivazione di lungo termine che vengono costruiti con il neanche tanto implicito scopo di attuare politiche di key people retaining e che di solito sono costituiti da stock options plan, cessione di quote o azioni, phantom stocks option. Ovviamente tali sistemi non hanno riscosso particolare successo in Italia sia per ragioni di carattere culturale sia perché presuppongono un mercato borsistico che, almeno in Italia (o, meglio sarebbe dire, in Europa), non sempre permette di rispecchiare pienamente le performance aziendali.
II. Lo scarso sfruttamento su larga scala di tali forme di retribuzione incentivante deriva da diverse ragioni.
La ragione principale è sicuramente quella relativa all’elevato costo del lavoro in Italia, anche se quando l’azienda intende utilizzare lo strumento della retribuzione variabile incentivante come strumento di people retaining, il problema del costo cede il passo rispetto all’individuazione di strumenti idonei a trattenere le migliori risorse. Inoltre, soprattutto con riferimento alle posizioni commerciali, la retribuzione variabile (in certe occasioni con valori molto significativi) viene utilizzata per ridurre il costo fisso del salario e spostare il rischio in capo al lavoratore il quale, se raggiunge gli obiettivi, ottiene la retribuzione incentivante pattuita (secondo lo schema di autofinanziamento sopra descritto) mentre in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi (con eventuali scale di riduzione a seconda della percentuale di mancato raggiungimento dell’obiettivo) nulla viene riconosciuto al lavoratore.
Un altro fattore d’insuccesso, soprattutto con riferimento ai piani di incentivazione collettiva, riguarda la diversa visione delle parti contrattuali sull’approccio della retribuzione variabile.
Infatti, mentre le aziende tendono ad individuare quale criterio per l’attribuzione di una retribuzione incentivante la redditività dell’impresa (anche perché in questo modo il datore di lavoro otterrebbe il vantaggio di autofinanziarsi il piano di retribuzione incentivante), le organizzazioni sindacali cercano di fondare i sistemi incentivanti su indici di efficienza poiché, a loro avviso, il raggiungimento di determinati livelli di redditività dipende anche dagli investimenti dell’impresa, dall’acquisto di nuovi macchinari, dall’andamento del mercato ovvero dai risultati finanziari. Invece, individuare obiettivi su indici di efficienza rende l’obiettivo più strettamente correlato alla prestazione dei lavoratori (a questo riguardo, ad esempio, vengono collegate retribuzioni incentivanti a parametri quali la riduzione dell’assenteismo).
Il governo ha tentato di introdurre sistemi di incentivazione fiscale e contributiva al fine di favorire una maggiore espansione di tali strumenti anche se i risultati non sono sempre stati positivi. È opportuno precisare che tali trattamenti riguardano solo piani di incentivazione collettiva e non quelli individuali con la conseguenza che tali trattamenti sono considerati retribuzione a tutti gli effetti e, conseguentemente, sono soggetti alla tassazione ed alla contribuzione ordinaria.
Non solo. Attesi i limiti di reddito e di importo del premio, i vantaggi fiscali e contributivi normalmente riguardano al massimo il middle management, essendo chiaro che i dirigenti apicali ne siano esclusi.
Con riferimento agli incentivi fiscali, negli ultimi anni la minore tassazione della retribuzione variabile erogata a seguito di contratti territoriali o aziendali non è sempre stata costante e non è sempre stata confermata. Infatti, a seconda delle scelte di politica economica annualmente determinate nella legge finanziaria o di stabilità è stato di volta in volta confermato il beneficio e quantificata l’aliquota da applicare.
Per quanto qui d’interesse, con riferimento alla normativa fiscale per il 2017 (cfr. Legge per il Bilancio 2017) viene ripreso ed ampliato il sistema già in vigore per il 2016.
In primo luogo viene confermato il principio per cui le somme erogate ai dipendenti attraverso la contrattazione aziendale o territoriale dovranno essere strettamente legate agli incrementi di produttività (“l’aumento della produzione, i risparmi nell’utilizzo dei fattori produttivi, il miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, rispetto ad un periodo congruo definito nell’accordo”).
In secondo luogo, la normativa fiscale, confermando l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 10% o addirittura un’esenzione se l’incentivo viene convertito in un benefit in natura, ha modificato:
(i) il requisito soggettivo estendendo tale tipologia di beneficio a lavoratori che sono titolari di un reddito di lavoro dipendente fino ad Euro 80.000,00 (mentre nel 2016 il limite era previsto fino ad Euro 50.000,00);
(ii) gli importi massimi sui quali applicare l’agevolazione fiscale (imposta sostitutiva del 10% o esenzione se l’incentivazione viene convertita in benefits – per quanto riguarda le agevolazioni fiscali in tema di welfare aziendale si richiama quanto già precisato su questo sito con l’articolo I contratti collettivi e l’opzione Welfare – luglio 2016): Euro 3.000,00 (nel 2016, il limite era pari a Euro 2.000,00) oppure Euro 4.000,00 (nel 2016, il limite era pari a Euro 2.500,00) per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nelle decisioni (salvo che per quanto verrà precisato di seguito con riferimento alle agevolazioni contributive). A questo riguardo si ritiene opportuno segnalare che, ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Interministeriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze del 29 aprile 2016, il coinvolgimento paritetico dei lavoratori si ha allorquando i contratti collettivi aziendali prevedano un piano che stabilisca a titolo esemplificativo, la costituzione di gruppi di lavoro, nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive e sistemi di produzione e che prevedono strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie nonché la predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti.
È importante segnalare che la normativa fiscale prevede la suddetta esenzione fiscale qualora il lavoratore decida di destinare il premio di risultato alla propria previdenza complementare. In particolare, la normativa fiscale stabilisce che non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente né sono soggetti all’imposta sostitutiva del 10% i contributi alle forme pensionistiche complementari e di assistenza sanitaria ovvero il valore delle azioni ricevute, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, del premio di risultato/partecipazione agli utili, anche se di importo eccedente i limiti di esenzione fissati dalle relative disposizioni.
Anche con riferimento al 2017 affinché operi il beneficio fiscale è necessario che i contratti territoriali o aziendali siano depositati (con un’autodichiarazione di conformità e l’eventuale piano di coinvolgimento dei lavoratori all’organizzazione del lavoro) presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
Dal punto di vista contributivo occorre segnalare che nel D. L. 24 aprile 2017 n. 50 è presente una norma che prevede che per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro (nei termini sopra esemplificati) è ridotta di venti punti percentuali l’aliquota percentuale di contribuzione a carico del datore di lavoro per il regime IVS su una quota delle erogazioni non superiore a 800 Euro. Sulla medesima quota non è dovuta alcuna contribuzione a carico del lavoratore.
Tale modifica comporta che il tetto massimo di erogazioni assoggettabile all’aliquota sostitutiva del 10% diventa Euro 3.000,00 in modo fisso e non può più operare l’innalzamento a Euro 4.000,00 in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori.
III. In tema di incentivazione, sia essa individuale o collettiva, è molto importante curare la redazione dei relativi piani sia perché l’aspetto comunicativo è fondamentale per garantire un pieno e consapevole coinvolgimento dei lavoratori interessati ma anche per le conseguenze legali che ne possono derivare.
Ad esempio, con riferimento ai piani d’incentivazione individuale l’esame dei precedenti giurisprudenziali permette di evidenziare quanto segue.
Anzitutto, occorre che l’individuazione dell’obiettivo e i criteri di misurazione della performance siano chiari e precisi, diversamente ci si espone a possibili rivendicazioni in merito alla corresponsione in tutto o in parte dell’incentivo fondate sul presupposto della violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede. Certamente in questo filone di contenzioso va ascritto anche quello riconducibile alla violazione dei criteri di correttezza e buona fede per l’assegnazione di un obiettivo irraggiungibile.
Inoltre occorre precisare quale è la portata temporale del piano di incentivazione (si fa riferimento ad un solo anno o altro periodo oppure dal momento dell’assunzione fino a quando il rapporto di lavoro non cesserà il lavoratore sarà eligibile di partecipare al piano di incentivazione). Diversamente può accadere che il datore di lavoro, dopo aver fissato gli obiettivi per il primo anno si dimentichi di rinnovare gli obiettivi per gli anni successivi e ciò potrebbe comportare che il lavoratore possa pretendere o la retribuzione incentivante o un risarcimento del danno derivante dalla mancata fissazione degli obiettivi.
Con riferimento ai piani di incentivazione collettiva, la redazione degli accordi di secondo livello è importante per garantire la piena attribuzione dei benefici fiscali e/o contributivi sopra descritti.
Inoltre, una corretta compilazione di tali accordi permette di comprendere se tali trattamenti incidano, ad esempio, sul trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore subordinato oppure nella loro valorizzazione economica le parti hanno tenuto già conto delle relative incidenze e, quindi, la somma riconosciuta a titolo di incentivazione deve intendersi “omnicomprensiva”. Infatti, è principio giurisprudenziale consolidato quello per cui la nozione legale di retribuzione, da porre a base del calcolo del trattamento di fine rapporto, comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese, fatta salva la diversa previsione eventualmente contenuta nei contratti collettivi (in cui sicuramente rientrano anche gli accordi sindacali territoriali o aziendali) che possono derogare anche in peius la nozione legale di retribuzione.
Avv. Mattia Lettieri
Lettieri & Tanca – Labour Lawyers
L'avv. Mattia Lettieri è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2001 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2016. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’Avv. Francesco Tanca lo Studio Lettieri & Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.