UNIVERSITY REPORT 2015: QUANTO VALE IL TITOLO DI STUDIO UNIVERSITARIO NEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO?
Lo studio sul “valore” delle università italiane e dei livelli di istruzione è il frutto di una rilevazione in continuum sul tema degli stipendi sviluppata dall’Osservatorio JobPricing, volta a qualificare e quantificare le correlazioni fra titolo di studio conseguito, ateneo frequentato, stipendio e carriera lavorativa.
Nel confronto tra i dati retributivi dei non laureati con quelli di coloro che hanno conseguito il titolo di studio universitario emerge che la RAL – retribuzione annua lorda – media dei primi è nettamente inferiore a quella dei laureati (26.008 euro vs. 41.220 euro). Una prima correlazione fra titolo di studio e valore medio delle retribuzione è data dal fatto che, maggiori sono gli anni dedicati allo studio (e migliore è il titolo di studio ottenuto), più elevata è la retribuzione percepita.
L’assunzione sopra riportata è ulteriormente qualificata e quantificata da fattori associati alla carriera e alla situazione anagrafica dei lavoratori: la differenza di retribuzione tra i laureati e i non laureati tende a crescere all’aumentare dell’età anagrafica, in particolare dopo il trentacinquesimo anno di età. Nella fascia 35-44 anni la forbice è del 46,7% e cresce fino al 77,1% nella fase di piena maturità professionale (45-54 anni). La differenza più contenuta nelle classi di età inferiori è riconducibile all’entrata tardiva nel mercato del lavoro dei laureati (non prima dei 25-26 anni in media), mentre chi ha un diploma o un titolo inferiore (scuola dell’obbligo o abilitazione professionale) al raggiungimento dei 24 anni ha tendenzialmente un certo numero di anni di lavoro alle spalle, con conseguenti scatti retributivi e contrattuali. Questo generation gap incrementa nei casi di un percorso di laurea di almeno 5 anni (o di 4, nel caso di una laurea del vecchio ordinamento) o di un master.
Al considerare le differenze retributive medie rispetto all’inquadramento contrattuale, JobPricing ha rilevato per le figure dirigenziali un divario significativo tra laureati e non, ma non altrettanto elevato per gli altri profili (impiegati e operai), con un panorama apparentemente diverso da quanto sopra riportato. Infatti, nel momento in cui si tiene in conto la composizione occupazionale associata a ciascun titolo di studio, si nota che gli operai sono presenti in percentuale più consistente al calare del livello di istruzione, abbassando pertanto il valore retributivo medio complessivo, mentre la percentuale di dirigenti e quadri è considerevolmente più elevata tra i laureati con almeno 5 anni di carriera universitaria (sopra il 30%, al contrario dei non laureati, per i quali le chances di essere inquadrati con profili manageriali non superano il 10%).
Confrontando i valori retributivi medi dei laureati sulla base dell’ateneo di provenienza, l’aver frequentato un’università privata dà un ritorno economico superiore del 21% rispetto all’aver frequentato un’università statale, e del 7% rispetto all’aver frequentato un politecnico.
Altro aspetto che incide sulle prospettive di carriera e di guadagno è la sede degli studi effettuati: chi ha frequentato una università al Nord guadagna mediamente il 15% in più rispetto a chi ha frequentato un ateneo al Sud, mentre il divario di attenua tra Nord e Centro. A seguito del percorso scolastico si assiste inoltre ad un fenomeno migratorio dei lavoratori dal Sud verso le regioni settentrionali.
L’analisi di 40 atenei italiani rispetto alla RAL media dei primi 10 anni di carriera lavorativa (che a livello nazionale è pari a 28.869 euro), mostra in cima alla classifica la Bocconi (+20,9%), il Politecnico di Milano (+12,5%), l’Università Cattolica del Sacro Cuore (+10,6%) e la LUISS Guido Carli (+7,4%). Rispetto all’andamento della retribuzione nel corso dell’intero percorso professionale e la crescita percentuale tra l’ingresso e l’uscita nel mercato del lavoro, i laureati in università private non solo “partono” da retribuzioni superiori, ma presentano anche una crescita consistente nel corso della carriera lavorativa: l’incremento più consistente è rilevato per la LUISS Guido Carli, i cui laureati mediamente raddoppiano la loro RAL al raggiungimento ai 50 anni di età (+98%); seguiti dai “bocconiani” con un +90%. Un altro dato significativo è legato al mercato occupazionale: alle università private è associato un numero più elevato di profili dirigenziali, con un valore medio del 15-20% per gli atenei privati in testa alla classifica, seguiti a scalare da tutte le altre principali università del Nord.
Il percorso universitario rappresenta un investimento economico cospicuo che presuppone un ritorno economico durante la carriera lavorativa. JobPricing ha pertanto realizzato un indice denominato University Payback Index (U_P_I), che quantifica il numero di anni necessari per ripagare i costi sostenuti durante gli studi, considerando in prima istanza le spese universitarie (tasse d’iscrizione e materiale didattico) e il mancato introito (retribuzione che lo studente avrebbe guadagnato occupando un posto di lavoro a tempo pieno, anziché frequentare l’università) e secondariamente il beneficio economico derivante dal possesso di un titolo di studio universitario per ogni anno di lavoro (calcolato come differenza tra la RAL media del profilo laureato in uno specifico ateneo e la retribuzione a parità di età di un profilo con un titolo di studio inferiore, un diploma di media superiore). Ciò che emerge da questa analisi è che per recuperare a livello economico il mancato guadagno e l’investimento fatto per completare il percorso di studi universitario è necessario un intervallo di tempo che va dai 12 ai 22 anni a seconda dell’ateneo frequentato, con l’aggiunta di ulteriori 1 o 2 anni per gli studenti fuori sede.
Il report completo, con tutte le classifiche e i dati dei singoli atenei è consultabile e scaricabile gratuitamente qui.
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