Nel 2017 ricorrono i 20 anni dall’introduzione della legge 196/97, che ha introdotto nel sistema italiano alcuni strumenti di flessibilità (primo fra tutti il lavoro temporaneo, oggi somministrazione di lavoro), che in molti altri paesi (europei e non) erano già attivi da molti anni. Non si può dire che non sia stata una riforma di successo, sebbene, almeno per il primo decennio abbondante, la complessità collegata alla preoccupazione del legislatore di “evitare la precarietà” e di proteggere i lavoratori abituati a considerare il contratto a tempo indeterminato l’unica forma accettabile di impiego, abbia per certi versi reso più difficile per le aziende l’adozione di uno strumento che rappresenta, a parere di chi scrive, un modello di “flessibilità buona”.
Oggi, dopo vent’anni appunto, lo strumento si è evoluto anche dal punto di vista normativo, divenendo più semplice con l’abolizione delle causali di utilizzo e la parziale eliminazione dei limiti quantitativi, che ne avevano limitato la diffusione, ed ha avuto un ulteriore stimolo dall’abolizione dei contratti a progetto, tanto che in questi mesi ha raggiunto un tasso di penetrazione (% del numero degli occupati) dell’1,75% e di peso sul totale dei contratti a tempo determinato (16,2%) mai visti in precedenza (fonte: Ebi.Temp, rapporto marzo 2017), e la somministrazione di lavoro è considerata “buona” anche da chi, come la CGIL, nei primi anni l’ha fortemente osteggiata.
Per la maggior parte delle aziende italiane, l’utilizzo di forza lavoro “flessibile” è divenuta la norma, tanto che spesso sarebbe impossibile persino stare sul mercato senza essere in grado di adeguare in modo razionale gli organici in funzione dell’andamento della domanda.
La somministrazione di lavoro, quindi, è diventata una parte molto importante del budget HR di moltissime aziende, una voce divenuta così “normale” da essere sempre meno considerata dalle aziende un servizio complesso, quale in effetti è, e sempre più una “commodity”.
Questo, a mio parere, è un errore per svariati motivi.
Acquistare somministrazione è una attività molto complessa, che richiede una buona conoscenza tecnica non solo della struttura del costo del lavoro, ma anche delle possibili articolazioni di servizio che le agenzie potrebbero mettere in campo, e che di fatto marcano la differenza fra i vari player sul mercato in funzione della capacità del fornitore di rispondere in termini di progettualità, qualità e tempi alle richieste. D’altra parte, se concentrarsi sulla qualità del servizio è imprescindibile, non si può dimenticare la necessità di raggiungere gli obiettivi di saving su un elemento del budget così importante.
Un ulteriore elemento di complessità è l’abitudine, da parte delle agenzie per il lavoro, di strutturare le offerte economiche adottando una miriade di voci diverse, con l'effetto di rendere più complessa la negoziazione, specie per le aziende meno strutturate.
Inoltre non sempre chi vende il servizio mette in evidenza potenziali opportunità (per esempio la possibilità di accedere a sgravi contributivi o di utilizzare i fondi di formazione connessi alla somministrazione di lavoro) che per le aziende risulterebbero preziose ma che spesso per le agenzie preferiscono non attivare perché onerose in termini operativi (come gestire gli sgravi) o perché limitate e quindi appannaggio solo dei grandi clienti (come la formazione).
Non vanno nemmeno dimenticati i costi gestionali, spesso non percepibili all’atto dell’acquisto, che la somministrazione porta con sé, quali ad esempio la firma di tonnellate di documenti, la gestione delle presenze (spesso molto onerosa), la verifica delle fatture, e così via.
In questo contesto si comprende come quella che sembra una semplice negoziazione su un prezzo (la tariffa oraria) diventi invece un processo ben più complesso che richiede ovviamente capacità negoziali, ma anche una forte competenza tecnica e una piena consapevolezza delle possibilità che lo strumento mette a disposizione per raggiungere gli obiettivi di business. Il modo migliore di approcciare l’acquisto del servizio (a patto, va da sé, che i volumi giustifichino l’investimento) è quello di mettere insieme un team di progetto in collaborazione tra la funzione acquisti e la funzione HR, intesa quest’ultima sia come struttura di gestione che come centro di competenze giuslavoristiche e di amministrazione del personale.
In alternativa, mancando le competenze o il tempo, si può ricorrere a competenze esterne, i cui costi possono essere ampiamente coperti con il saving complessivo da raggiungere. Una prassi, questa, già ampiamente diffusa all’estero e che oggi muove i primi passi anche da noi.
Federico Ferri
Partner JobValue – JobPricing
Partner di JobPricing, approda alla consulenza dopo aver maturato una pluriennale esperienza aziendale nel controllo di gestione. Esperto di integrazione di sistemi HR e di gestione di sistemi di elaborazione paghe, vanta un consolidato know-how nella digitalizzazione dei processi della funzione risorse umane.