Parlare oggi della possibilità di creare lavoro buono e giusto e di garantire condizioni di lavoro dignitoso sembra quasi paradossale. Il costante aumento del tasso di disoccupazione, l’aumento dei lavoratori poveri (working poor), l’elevata percentuale di giovani sotto i 25 anni con un contratto di lavoro precario, che secondo uno studio dell’Ocse si attesta al 52,9%, mostrano la situazione drammatica in cui vivono molti giovani e adulti italiani e non danno adito a molte speranze sul futuro occupazionale del nostro Paese.
Le Acli da sempre attente ai lavoratori e alle loro condizioni di vita, non vogliono unirsi al coro di chi pensa che non c’è più niente da fare. Vogliamo reagire e guardare ai segni di speranza che ci sono. Vogliono dare il nostro contributo affinché sia da un punto di vista culturale che sociale e politico il nostro paese ricominci a credere nella possibilità di creare un lavoro buono, giusto e dignitoso per tutti a partire dai giovani e dalle donne.
Per questo nel loro 47° incontro annuale di studi che si è tenuto a Cortona, le Acli hanno scelto come tema: “Il lavoro non è finito. Un’economia per creare lavoro buono e giusto” nella convinzione che questa rappresenti una strada praticabile per ri-dare una prospettiva di sviluppo al Paese.
Diverse analisi internazionali ci confortano sulle nostre convinzioni. Secondo il rapporto Ilo “sul mondo del lavoro 2014: l’occupazione al centro dello sviluppo” i paesi che hanno investito molto in occupazione di qualità a partire dai primi anni del 2000 hanno registrato, ogni anno dal 2007, una crescita superiore di circa l’1% rispetto a quella di altre economie emergenti o in via di sviluppo. Ciò ha consentito di attenuare l’impatto della crisi mondiale del 2008.
Ancora l’Ilo, ha presentato un interessante documento che mette in evidenza come ridurre l’orario di lavoro potrebbe avere effetti molto positivi in termini di redistribuzione del lavoro, di mantenimento dei posti di lavoro, di miglioramento della produttività e della qualità della vita nel suo complesso. Recentemente, la stessa Germania, sembra aver imboccato questa strada.
Come mai allora l’Europa e l’Italia faticano a cambiare registro? Come mai ai giovani vengono offerti lavoro poco qualificati e sottopagati? Come mai si continuano ad offrire lavori precari e in alcuni casi irregolari? Oggi il lavoro viene troppe spesso ridotto a merce e la giustizia sociale è sacrificata sull'altare dell'idolatria del profitto.
Ri-orientare l’economia verso la valorizzazione del lavoro, della persona che lavora è il punto di partenza per abbandonare una deriva che ha prodotto danni terribili: quella del guadagno facile, del dominio incontrastato della finanza sull’economia.
La politica non può stare alla finestra, non può più permettersi di salvare l’istituto bancario di turno, ma deve controllare i poteri economici forti e definire una strategia economia di lungo respiro che valorizzi le qualità e le risorse dei territori, i talenti di cui il nostro paese è ricco. Una strategia che sostenga le eccellenze, il tessuto produttivo di qualità di cui ancora disponiamo, facendo emergere il nuovo, creando opportunità vere per i giovani. Una strategia che punti sulla formazione, su quella professionale e su quella on the job, sulle competenze, sull’innovazione e la ricerca.
Per ri-orientare l’economia e per far sì che le scelte politiche siano in grado di valorizzazione le capacità e le competenze dei lavoratori garantendo anche un’adeguata remunerazione e una stabilità lavorativa, serve un cambiamento culturale radicale che chiama i causa tutti gli attori: dalla scuola all’Università, dalla formazione professionale alle imprese, dalla società civile ai sindacati, dagli enti locali allo Stato, dai partiti ai singoli cittadini. Ma serve anche il coraggio di esplorare strade nuove per trovare proposte concrete. Come quella, ad esempio, di indirizzare anche solo una minima parte degli ingenti finanziamenti (Ltro) che la Bce eroga alle banche a condizioni di estremo favore, direttamente all'economia reale, ai giovani che intendono aprire un'attività o specializzarsi, ad imprese che intendono crescere. Ci attende, dunque, una sfida culturale di grande portata.
Gianni Bottalico, Presidente nazionale delle Acli