Riflessioni sulla digital transfomation delle retribuzioni
In un recente studio condotto per Spring Professional, società di ricerca e selezione specializzata nei profili di middle manager e professional, abbiamo cercato di fare il punto su un mondo che sta crescendo molto velocemente, ma che proprio per questo non è ancora facile da leggere, tanto meno se si parla di retribuzioni: quello delle professioni c.d. “digitali”.
Si tratta, in verità, come correttamente messo in luce in un altro contributo in questa newsletter, della punta di un iceberg, quello delle nuove professioni che avanzano e che stanno cambiando profondamente il mercato del lavoro, da una parte per effetto dello sviluppo tecnologico, dall’altro per un’evoluzione dei modelli organizzativi.
Il punto cruciale di questo cambiamento epocale è stato individuato nel passaggio da un mercato basato sulla produzione e commercializzazione di beni tangibili ad uno fondato sulla vendita di beni e servizi che “incorporano” informazioni e conoscenza.
La survey “Future of Jobs” del World Economic Forum fornisce in proposito un interessante serie di informazioni per comprendere le evoluzioni in corso: in tutti i settori produttivi, in tutto il mondo, sebbene con priorità diverse, le tecnologie che saranno maggiormente adottate entro il 2022 sono quelle relative a IOT, Big Data Analytics e Web Market Apps. Non stupisce allora che il mondo del digitale (inteso in senso ampio) sia quello più movimentato, anche in Italia (che pure non è un paese leader in quanto a digitalizzazione), dove si stima che il mercato ICT supererà il 31 miliardi di euro entro il 2021 (Assintel Report) e dove un fortissimo trend di sviluppo è determinato dagli investimenti delle aziende nelle c.d. “tecnologie abilitanti” (cloud computing, big data analytics, social business, robotica, intelligenza artificiale, realtà virtuale e aumentata, etc.).
La domanda di lavoro ovviamente evolverà, anzi sta già evolvendo, in funzione di queste dinamiche. È sempre il World Economic Forum che ci spiega bene che cosa sta succedendo: mentre alcuni mestieri sono destinati a scomparire, sostituiti dall’automazione, altri dovranno evolvere per far fronte al nuovo contesto in termini di know-how e di competenze sia hard che soft. Ma, soprattutto, continueranno a comparire nuovi lavori, oggi marginali, se non addirittura sconosciuti, in cui le competenze tecnologiche saranno direttamente o indirettamente cruciali: così se data entry, operatori di telemarketing o addetti allo sportello sono dati per “spacciati”, in compenso specialisti di automazione, addetti al digital marketing o analisti di Big Data sono accreditati come futuri “re” del mercato. Si prevede che per i profili specialistici in ambito digitale la domanda di lavoro fra 2018 e 2020 si attesterà fra le 45.000 e le 71.000 unità, con un focus soprattutto su social media marketing, IOT, big data e cloud computing.
L’effetto di questi sviluppi sarà a parere di molti una spinta verso una maggiore professionalizzazione media dei lavoratori, che valorizzerà lo studio, l’aggiornamento professionale e la capacità di apprendimento continuo. I lavoratori del futuro insomma dovranno essere più qualificati mediamente di quelli di oggi.
Tutto questo che effetti sta avendo e potrà avere in futuro nel campo delle retribuzioni?
Stando ai dati che abbiamo analizzato nel nostro studio ci sono tre fattori che stanno emergendo in modo molto chiaro:
- In primo luogo, se è vero che le retribuzioni dei profili “digitali” restano ancora in media sotto il mercato è pure vero che, se prendiamo a riferimento i “white collar”, si registrano tassi di crescita molto superiori alla media (circa il triplo). In proiezione questo vuol dire che nel mercato italiano entro il 2022 saranno questi profili a “tirare”. Ciò significa che per le imprese nei prossimi anni il tema del posizionamento retributivo come leva di attraction e di retention dei talenti diventerà indispensabile, visto che, a differenza del resto del mercato, quello digitale è molto “mosso” e lo sarà sempre di più nel prossimo futuro.
- Il secondo aspetto da considerare è che il mercato digitale è un mercato che valorizza in modo molto significativo la profondità delle competenze e la specializzazione, ma non necessariamente la seniority. Il driver primario sono le skill tecniche non l’esperienza lavorativa: skill di elevato livello in ambito big data o cloud, per esempio, possono valere in media un incremento dello stipendio dal 10.000 a 15.000 euro, anche se si è giovani.
- Un ultimo aspetto molto significativo è che la professionalizzazione, sebbene incardinata sulla parte tecnica, sempre meno potrà limitarsi solo a questa dimensione. Organizzazioni flessibili, cooperazione spinta, modalità di lavoro “agile”, contesti fortemente volatili, incerti, complessi ed ambigui (c.d. VUCA) porteranno a dare moltissima importanza anche al tema delle soft skill. Come rilevato dall’Osservatorio delle competenze digitali le skill digitali in senso stretto valgono in media il 45% sul totale delle competenze richieste per una professione digitale, ma il 28% sono invece soft skill. Provando a valorizzare a livello retributivo questo aspetto, ciò significa che se in media una professione digitale (CEN-UNI) ha una RAL media di € 36.200, circa 10.000 si possono associare a competenze che esulano l’ambito tecnico ed operativo e riguardano, piuttosto, le capacità personali! Sembrerebbe, insomma, che esista un paradosso per cui mentre il lavoro si automatizza e le competenze tecnologiche diventano cruciali ad ogni livello, proprio questo spinge a identificare nelle capacità “umane” un fattore talmente critico per la performance da diventare un elemento tutt’altro che secondario nella determinazione della retribuzione di mercato.
Se come abbiamo detto sarà il mondo del digitale a trascinare il mercato nel prossimo futuro, non pare scorretto affermare, in conclusione, che per quanto concerne gli stipendi, l’evoluzione potrebbe essere quella di un mercato che sempre di più si sgancerà dai “ruoli” per valorizzare piuttosto le “competenze”. Uno switch che per i datori di lavoro, ma anche per chi si occupa di benchmark e di consulenza, richiederà di cambiare almeno in parte l’approccio tradizionale all’analisi di competitività e di equità interna, che sono alla base della costruzione di efficaci politiche retributive.
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.