Retribuzione variabile, motivazione e performance:
Alcune riflessioni sulla costruzione dei sistemi d’incentivazione
Uno delle questioni più dibattute in azienda (e che abbiamo in parte già trattato nell’articolo “Incentivi monetari? Un’arma a doppio taglio”) è se e come inserire un sistema di retribuzione variabile.
Ci sono, in particolare, quattro aspetti critici:
- A chi assegnare l’incentivo?
- Secondo quali criteri?
- In che misura?
- A che condizioni pagare o meno?
Il primo punto rimanda direttamente alla questione se sia possibile stabilire un nesso causa-effetto fra incentivi e prestazione.
Sul punto, nella nostra newsletter già citata in precedenza, avevamo posto l’accento su un aspetto alquanto sottovalutato in azienda: gli incentivi economici sono tanto meno efficaci, in termini prestazionali, quanto più la mansione è complessa. Fra gli altri, ad esempio, gli studi di Dan Pink e Dan Arely hanno sottolineato come la presenza di incentivi tenda addirittura ad essere controproducente, laddove si affrontino task che richiedono problem solving e capacità di ragionare fuori dagli schemi. Gli incentivi, infatti, focalizzano l’attenzione, ma rendono allo stesso tempo le persone meno flessibili ed ostacolano il c.d. pensiero laterale: ciò, paradossalmente, può tradursi nell’incapacità di raggiungere gli obbiettivi in contesti non prevedibili, che però sono quelli del business e dei luoghi di lavoro di oggi e di domani (sul tema consigliamo come spunto di riflessione il video di Pink “The Puzzle of Motivation”).
Altro risultato ormai assodato in ambito psicologico è che la motivazione c.d. “estrinseca”, che deriva cioè da fattori esterni, come per esempio un incentivo, può funzionare al massimo come acceleratore della motivazione c.d. “intrinseca, quella che si attiva a prescindere da riconoscimenti, premi o pressioni esterne, ma che scaturisce, in ambito lavorativo, dall’interesse, dalla passione e dalla curiosità e che genera appagamento di per sé. Per altro è questo tipo di motivazione che sta alla base del pensiero creativo.
Una simile prospettiva impone alcune riflessioni che rimandano al secondo aspetto critico, i criteri di assegnazione degli incentivi: in primo luogo, la classica struttura condizionata degli obbiettivi individuali secondo il modello “IF… THEN” dovrebbe essere preferenzialmente indirizzata a mansioni più esecutive; in secondo luogo, la struttura dell’incentivazione per i ruoli più complessi, dove il problem solving predomina sull’execution, dovrebbe puntare di più sul “come” si fanno le cose, piuttosto che sul “cosa” si fa; infine, ma non meno importante, quale che sia il ruolo, si dovrebbe sempre tener ben distinto dal punto di vista dell’incentivazione ciò che è lavoro routinario da ciò che porta valore aggiunto. Rispetto a quest’ultimo aspetto, troppo spesso, l’equazione (errata) premio = performance induce le aziende a strutturare sistemi d’incentivazione che “pagano” quanto è ordinario per un ruolo, piuttosto che a riconoscere degli incentivi a fronte di prestazione extra-ordinarie, quelle, cioè, che davvero generano un valore aggiunto per l’organizzazione in termini di efficacia, di efficienza o di innovazione.
Venendo ora al terzo aspetto critico, la misura dell’incentivo, è bene essere chiari su un punto: il nostro cervello, dicono gli economisti comportamentali, è sensibile a ricompense e punizioni, guadagni e perdite nella misura in cui le percepisce come “significative” (in proposito, altra lettura che consigliamo vivamente: Pensieri lenti e veloci, del premio Nobel Daniel Kahneman). Di conseguenza gli incentivi o sono “importanti”, capaci cioè di incidere in modo significativo sulla percezione del lavoratore, oppure non sono. Questo vuol dire che a) i budget per i sistemi d’incentivazione dovrebbero essere generosi; b) l’azienda dovrebbe preoccuparsi sempre di comunicare tanto e bene su questi aspetti, poiché, come noto, è il valore “percepito”, piuttosto che quello “reale” a generare le aspettative di soddisfazione, insoddisfazione o indifferenza e quindi a incidere sulla motivazione.
Per quel che concerne l’ultimo aspetto critico, le condizioni di pagamento dell’incentivo, la domanda che ci viene posta più di frequente nella ns. attività di consulenza è da quale livello di performance sia corretto riconoscere l’incentivo. Bisogna pagare solo al raggiungimento del target predefinito? Oppure ha senso pagare il premio anche al di sotto di una prestazione ottimale? E per quanto riguarda l’overachievement?
Detto che una risposta generale che possa essere adeguata a tutte le necessità aziendali sarebbe impropria e si rischierebbe un’eccessiva semplificazione, si può però indicare una qualche linea guida in merito.
Il primo spunto di riflessione, in relazione al pagamento di premi a fronte di obbiettivi parzialmente raggiunti, è quello più banale, forse, ma più trascurato: è interesse dell’azienda pagare gli incentivi, visto che ciò vuol dire aver raggiunto i risultati che ci si era prefissati. Pertanto, se gli obbiettivi sono stati adeguatamente costruiti, se hanno cioè il giusto grado di “tensione” (sfidanti, ma possibili) l’ottica di pagare un bonus (meno che proporzionale), anche partendo da risultati raggiunti inferiori a quelli programmati, potrebbe non essere sbagliata. Entro un certo livello di scostamento dall’obbiettivo, infatti, è interesse dell’azienda (verificata la sostenibilità attraverso un’adeguata costruzione del budget del personale) fare in modo che le persone continuino a “correre” verso il target, anche quando questo sia ormai percepito sulla soglia di irraggiungibilità.
La seconda riflessione, rispetto al pagamento di premi per il superamento dei target, è che andare oltre alle aspettative e ricevere una ricompensa è probabilmente un fattore “igienico” prima ancora che “motivante”: in altre parole, il problema è più la demotivazione che si genererebbe nel non vedersi riconosciuto questo merito, che la motivazione di sapere che andando oltre il target si sarà ulteriormente premiati. A sostegno dell’opportunità di riconoscere premi aggiuntivi in caso di overachievement, c’è poi il fatto che i sistemi incentivanti adeguatamente progettati sono per loro natura auto-finanzianti e che pertanto risultati outstanding dovrebbero generare una disponibilità economica aggiuntiva, che può essere parzialmente redistribuita su chi ha raggiunto risultati eccezionali.
A chiosa di tutto, un’ultima considerazione: i sistemi d’incentivazione, visto quanto sopra, dovrebbero sempre essere un distillato sapiente, realizzato di concerto da HR e Finance, che combini lo scopo (motivare le persone e orientarne il comportamento) con gli aspetti di sostenibilità economico-finanziaria, senza che l’uno prenda il sopravvento sull’altro.
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.