BUSINESS PERFORMANCE MANAGEMENT E LICENZIAMENTO PER “SCARSO RENDIMENTO”
Com’è noto, il business performance management è l’insieme delle attività, degli strumenti e dei processi che consentono alle imprese di raggiungere i propri obiettivi in modo efficiente e puntuale, grazie all’allineamento delle proprie risorse ed alla valutazione delle quantità e qualità delle prestazioni lavorative delle stesse. In Italia, negli ultimi anni, l’implementazione nelle imprese di progetti di business performance management si è notevolmente incrementata, il che ovviamente ha anche reso ben più frequente all’interno delle imprese stesse la valutazione del rendimento quantitativo e qualitativo della prestazione lavorativa delle risorse umane sia singolarmente che nel loro complesso.
Nell’ambito dei progetti di business performance management il principale e più tradizionale strumento utilizzato dalle imprese per favorire il raggiungimento degli obbiettivi di business aziendali è sempre stato la valorizzazione, attraverso sistemi di incentivazione, dei lavoratori più focalizzati su tali obbiettivi e con una performance attestantesi sopra il livello qualitativo medio di diligenza richiesto dall’impresa; tuttavia, in tali progetti, appare non meno importante, quale strumento utile a coadiuvare le imprese nel raggiungimento dei propri obbiettivi di business, l’individuazione delle risorse scarsamente produttive: solo dalla preventiva individuazione di tali risorse, infatti, può prendere le mosse la realizzazione di soluzioni per tentare di migliorarne la performance adeguandola agli standard aziendali o, addirittura, laddove tale miglioramento non sia possibile, la decisione di procedere, come vedremo meglio in seguito, a licenziamenti per “scarso rendimento”.
Tanto premesso, è chiaro che, oltre alla previsione di piani di incentivazione legati alla performance del lavoratori, un altro elemento particolarmente rilevante dei progetti di business performance management è senza dubbio l’individuazione degli standard quantitativi e/o qualitativi minimi delle performance dei lavoratori richiesti dall’impresa. In altre parole, nel predisporre tali progetti, ciò che più rileva è senza dubbio l’individuazione per ciascuna delle categorie di lavoratori presenti nell’impresa di precisi criteri predeterminati in base ai quali stabilire una gradazione di livelli di produttività della prestazione lavorativa compresa tra un livello minimo richiesto (da disincentivare), sotto il quale la performance non viene ritenuta accettabile, ed un livello massimo (da incentivare), oltre il quale si verificano situazioni di particolare eccellenza. Al riguardo, va da sé che, a seconda della tipologia di mansioni svolte dalla singola categoria di lavoratori presa in esame, la predeterminazione della gradazione di livelli di performance potrà basarsi su criteri prevalentemente quantitativi (ad es. per quanto concerne operai operanti nel settore della produzione di beni oppure di impiegati commerciali aventi obbiettivi di fatturato) o prevalentemente qualitativi (ad es. per quanto concerne qualsiasi tipologia di lavoratore che svolge mansioni di tipo “intellettuale”).
Ora, un piano di business performance management che contenga, come sopra prospettato, una chiara individuazione del livello minimo di performance tollerato dal datore di lavoro, può certamente far emergere con maggior evidenza nell’impresa situazioni di inadeguatezza professionale e mancanza di diligenza così gravi, durature ed irrimediabili da suggerire al datore di lavoro stesso, come unica vera soluzione, la risoluzione del rapporto di lavoro; di qui l’opportunità di domandarsi se in Italia sia consentito il c.d. licenziamento per “scarso rendimento”.
In proposito, si segnala che una delle ultime pronunzie della Corte di Cassazione sul tema (cfr. Cass. 23735/2016), nel confermare che lo “scarso rendimento” di un lavoratore può costituire un legittimo motivo di licenziamento del medesimo, ha anche specificato che tale tipologia di licenziamento può configurarsi sia come licenziamento disciplinare (nei casi “in cui ci si dolga” di condotte del lavoratore “comunque ascrivibili alla” sua “sfera volitiva”: cfr. Cass. supra cit.) sia come licenziamento per giustificato motivo oggettivo (nei casi “riferibili alle ragioni organizzative dell’impresa, che possono ravvisarsi anche in condizioni attinenti alla persona del lavoratore”, purché “si tratti di circostanze oggettive, idonee a determinare la perdita di interesse del datore di lavoro alla prestazione, e che siano estranee alla sfera volitiva del soggetto, tali da non poter configurare nella sostanza un inadempimento comunque imputabile”: cfr. ibidem.). Dunque, alla luce di tale principio enunciato dalla Suprema Corte, sembra che la giurisprudenza, modificando pregressi orientamenti più restrittivi sul punto, vada nella direzione dell’ampliamento del novero dei casi di licenziamento per “scarso rendimento” includendovi a pieno titolo anche ipotesi non riconducibili al licenziamento disciplinare.
Ebbene, stante quanto sin qui osservato, non è da escludere che la diffusione del business performance management, unitamente alla menzionata “apertura” della giurisprudenza in tema di licenziamento per “scarso rendimento”, possa portare le imprese ad un’inversione di tendenza in forza della quale tale tipologia di licenziamento – sino ad oggi comunemente considerata in Italia molto “rischiosa” in quanto di “difficile tenuta in giudizio” – diventi uno strumento utilizzato molto più frequentemente e “con maggior tranquillità” ogniqualvolta venga appurata la grave inadeguatezza del livello di rendimento della prestazione lavorativa di un dipendente rispetto agli standard aziendali.
Peraltro, tale possibile inversione di tendenza appare tanto più probabile se si considera che, allo stato attuale della normativa, anche laddove un Giudice dovesse ritenere illegittimo un licenziamento intimato sulla base di effettivi elementi di scarso rendimento del lavoratore di notevole importanza, ben difficilmente arriverebbe a disporre la reintegra del lavoratore licenziato, limitandosi invece, con tutta probabilità, ad attivare in favore del lavoratore licenziato la tutela risarcitoria che, oltretutto, con il Jobs Act è stata anche nettamente ridimensionata (ciò, naturalmente, fatto salvo il caso in cui dovesse essere dimostrata la nullità del licenziamento ad esempio in quanto discriminatorio e/o ritorsivo oppure intimato verbalmente, in tal caso, infatti, verrebbe attivata la c.d. “tutela reale forte” in forza della quale sarebbe disposta in favore del lavoratore sia la reintegra in servizio che una tutela risarcitoria).
In proposito, premesso che il principale parametro in base al quale valutare la scarsa produttività di un lavoratore (anche in assenza di un piano di business performance management) è senza dubbio costituito dall’entità dello scarto tra il risultato della prestazione lavorativa di quest’ultimo e la media del risultato delle prestazioni svolte nell’ambito della stessa impresa da dipendenti con le medesime mansioni ed il medesimo inquadramento contrattuale, segnaliamo che, secondo la prevalente giurisprudenza formatasi sul punto negli ultimi anni, i principali indici dello scarso rendimento di un lavoratore sono i seguenti:
(i) la notevole entità dello scarto tra il risultato della prestazione lavorativa del lavoratore e la media del risultato delle prestazioni svolte nell’ambito della stessa impresa da risorse con le medesime mansioni ed il medesimo inquadramento;
(ii) l’assenza di fattori organizzativi e/o socio-ambientali indipendenti dalla volontà e dalle capacità del lavoratore alla base di tale scarto;
(iii) la frequenza e la ricorrenza di tale scarto in un arco temporale significativo.
Ora, ferme le osservazioni che precedono, va tenuto ben presente che, in ogni caso, l’onere della prova delle scarso rendimento del lavoratore incombe integralmente sul datore di lavoro; tuttavia, è da ritenersi che un piano di business performance management, ove stabilisca criteri predeterminati in base ai quali la performance di un lavoratore possa essere ritenuta eccellente, buona, media, inferiore alla media oppure addirittura pessima, potrà certamente agevolare la prova in giudizio da parte del datore di lavoro dello “scarso rendimento” e ciò soprattutto ove tale piano sia condiviso con il lavoratore; ed infatti essendo espressamente previsto in un documento aziendale il livello di difetto di diligenza considerato non tollerabile, basterà al datore di lavoro provare in giudizio che il lavoratore licenziato aveva raggiunto tale livello di difetto di diligenza, senza dover ricorrere a complessi paragoni con altri dipendenti del datore di lavoro e le loro performance.
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