Partiamo da una premessa. Non ci sono dubbi che soprattutto nel pubblico, ma anche nel privato, ci sono situazioni, riferite a pochissimi top manager, dove le retribuzioni hanno raggiuto cifre irragionevoli e soprattutto “immeritate”, non collegabili a risultati apportati o ancor peggio corrisposte in presenza di risultati negativi.
I tetti agli stipendi, però, in un libero mercato hanno poco senso e rischiano di danneggiare quelle società, pubbliche e non, che li applicano con la fuga dei migliori o l’impossibilità di averli. In Italia, soprattutto, rischiamo di perdere definitivamente la necessaria crescita che la PA e tutto il settore pubblico dovrebbero avere, anche grazie all’osmosi e all’arrivo di bravi manager dal privato. Il vero tetto, che deve esserci eccome, è dato dal merito, dai risultati e, come limite massimo, dalla decenza.
Soprattutto dobbiamo scegliere i manager, e vorrei dire veramente tutti, perché hanno un percorso manageriale vero e quindi sulle competenze e esperienze consone al ruolo e al settore, valutarli, confermarli e ricompensarli solo in base al merito. Il faro è una retribuzione fissa consona a ruolo e responsabilità e una parte variabile legata ai risultati, che devono essere non solo di fatturato e utili, ma guardare anche all’interesse degli stake holder e di tutta la collettività e soprattutto al medio e lungo termine.
Quindi, anche nel pubblico dovrebbe esserci non un tetto, ma una maggiore calmierazione della retribuzione dei top manager data dal fare servizio pubblico e dal poter guadagnare in immagine, ecc. Insomma, come negli Usa e anche in altri contesti avanzati, dovrebbe esserci la consuetudine per i più bravi top manager di andare a lavorare lì ai livelli più alti per alcuni anni, anche prendendo meno, ma mettendo a frutto della collettività le proprie capacità. Cosa che in altri contesti (Usa, ecc.) viene poi ripagata con un’esperienza che fa curriculum e dall’opportunità di capitalizzare in seguito la parentesi pubblica in termini di prestigio e anche monetari.
Mentre parlando di tutti i dirigenti pubblici, quindi non solo dei top, anche per loro dovrebbero valere le regole del contratto dei dirigenti privati. Il dirigente è una figura che per ruolo e responsabilità deve poter essere licenziato, è nel suo dna, certo a fronte di valide tutele come già avviene nel privato. Quindi, meglio un contratto a tempo indeterminato, con possibilità di licenziare, come avviene nel privato. Poi volendo c’è anche, come nel privato, la possibilità di un contratto a tempo determinato. Ma non vorrei che nel pubblico fosse un modo per dare per scontato lo spoil system.
Noi abbiamo bisogno di una dirigenza pubblica competente, capace di portare risultati, di far funzionare la macchina pubblica al meglio e di dare dignità al settore pubblico e a tutti quelli che ci lavorano. Una dirigenza che, proprio perché brava e competente, non sia sotto scacco della politica, che deve dare le linee guida della sua azione e valutazione, ma poi deve rispettarle. Non abbiamo di certo bisogno di una dirigenza pubblica che dipenda dalla politica, se non per rendere conto di azioni fatte e risultati portati.
– Guido Carella –
Presidente di Manageritalia