L’utilizzo delle agenzie investigative per le indagini sui dipendenti nella più recente giurisprudenza
È da tempo discusso in giurisprudenza il tema della legittimità (o meno) delle indagini svolte dalle agenzie investigative per conto dei datori di lavoro al fine di accertare fatti disciplinarmente rilevanti posti in essere da propri dipendenti all’esterno della sede aziendale, nonché, in stretta connessione con ciò, il tema della legittimità (o meno) dei provvedimenti disciplinari, conservativi od espulsivi, che si fondino su di esse. Ora, sul punto, la giurisprudenza di merito e di legittimità è arrivata da ultimo a ritenere, in buona sostanza, che è consentito al datore di lavoro il controllo occulto di propri dipendenti attraverso agenzie investigative purché tale controllo sia finalizzato ad accertare atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione lavorativa e che integrino quindi o ipotesi di condotte penalmente rilevanti o attività fraudolente in genere potenzialmente dannose per il datore di lavoro. Tale consolidato principio è stato costantemente ribadito dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni, con la sottolineatura che le agenzie di investigazione, per svolgere lecitamente il controllo occulto di lavoratori, non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, com’è noto, dall’art. 3 dello statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970), al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori. In altre parole, secondo la Cassazione, alla base della decisione del datore di lavoro di controllare un proprio dipendente tramite un agenzia investigativa deve necessariamente esservi un concreto sospetto che quest’ultimo stia commettendo atti illeciti che non consistano nel mero inadempimento della prestazione lavorativa; diversamente, il provvedimento disciplinare (conservativo od espulsivo) fondato su fatti accertati con tale modalità dovrà considerarsi illegittimo (con le conseguenze sanzionatorie del caso per il datore di lavoro).
Sulla scorta dei principi appena ricordati, la Corte di Cassazione, di recente, con sentenza n. 4670 del 2019, ha confermato la ritenuta legittimità del licenziamento per giusta causa di un lavoratore per l’utilizzo di un permesso ex art. 33 della L. 104/1992 per scopi estranei a quelli previsti dalla legge accertato dal datore di lavoro tramite agenzia investigativa. In particolare, nella specie, era stato accertato dall’agenzia investigativa che il lavoratore, anziché prestare assistenza al proprio familiare per il quale usufruiva dei permessi, aveva svolto attività varie di tipo personale presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza; ciò posto, la Corte ha ritenuto il suddetto controllo legittimo in quanto effettuato durante un periodo di sospensione del rapporto di lavoro e finalizzato a consentire al datore di lavoro di appurare comportamenti del lavoratore che, seppur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, erano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, gravemente lesivi del vicolo fiduciario posto alla base dello stesso, nonché integranti un’indebita percezione dell’indennità ex legge 104/1992 ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.
Sempre di recente e sempre sulla scorta dei summenzionati principi, la Corte di Cassazione, con un’altra pronuncia (la sentenza n. 15094 del 2018), ha invece negato la legittimità dei controlli occulti effettuati su un lavoratore da un’agenzia investigativa per conto del datore di lavoro, ritenendo errata in diritto l’affermazione della Corte d’appello secondo cui le relazioni investigative poste alla base del licenziamento del lavoratore in questione erano da considerarsi utilizzabili in considerazione del fatto che la prestazione lavorativa di quest’ultimo si svolgeva al di fuori dei locali aziendali e del fatto che, per tale ragione, non poteva configurarsi per il datore di lavoro alcun divieto di avvalersi di un agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro; in particolare, dalla motivazione della sentenza in esame emerge che la Corte di Cassazione, diversamente dalla Corte territoriale, ha ritenuto insufficiente a legittimare l’intervento dell’agenzia investigativa il mero svolgimento da parte del lavoratore delle proprie mansioni al di fuori dei locali aziendali in assenza del sospetto che il medesimo svolgesse attività concorrenziali o ad attività fraudolente in genere, nonché dell’accertamento di fatti di tal genere a carico del lavoratore all’esito delle indagini; ciò posto, la Cassazione ha considerato erronea anche la decisione della Corte d’appello di ritenere legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore in questione, essendosi lo stesso basato su fatti accertati dal datore di lavoro tramite agenzia investigativa quando ciò non gli era consentito (nella specie la Corte territoriale aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che svolgeva prevalentemente mansioni di ispezione dei cantieri del datore di lavoro – da eseguirsi, come tali, al di fuori dei locali aziendali – motivato dal fatto che quest’ultimo, come accertato dal datore di lavoro tramite agenzia investigativa, aveva falsamente riferito di aver eseguito un’attività lavorativa in realtà mai svolta).
In conclusione, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali sopra citati, pur in presenza di una certa apertura della giurisprudenza all’utilizzo delle agenzie investigative per il controllo dell’infedeltà dei lavoratori, appare “rischioso” per i datori di lavoro affidare ad agenzie investigative indagini aventi ad oggetto esclusivamente la verifica dell’effettiva esecuzione da parte di propri dipendenti di attività lavorative che devono essere svolte al di fuori dei locali dell’azienda; come si è visto, infatti, tali indagini potrebbero essere considerate illegittime, invalidando di conseguenza anche gli eventuali provvedimenti disciplinari comminati sulla base di esse.
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