Leggere ogni mese i dati sull’occupazione in Italia ci rende vittime delle montagne russe, costringendoci a colpi di scena e a interpretazioni. Nell’ultima settimana di marzo il governo (per bocca di Renzi e Poletti) celebrava 79mila assunzioni a gennaio e febbraio 2015, ma pochi giorni dopo l’Istat emanava i suoi dati, precisando che “sono dati non confrontabili perché sono di diversa natura e non necessariamente significano nuovi occupati; possono anche essere transizioni dal tempo determinato e altri tipi di contratti”. La lotteria dei numeri crea sconcerto e intralcia la comprensione delle tendenze. Secondo l’Istat due sono i numeri incontrovertibili a febbraio: il 12,7% di disoccupazione generale, il 42,6% di disoccupazione giovanile. Sono calati di 44 mila unità gli occupati (quasi tutte donne) rispetto a gennaio, ma a preoccupare è la disoccupazione giovanile salita di 1,3 punti su gennaio, proprio nel bimestre in cui trionfano gli incentivi della legge di Stabilità (8.060 euro per ogni assunto per tre anni). Probabilmente dovremo aspettare gli effetti dell’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, partito solo il 7 marzo. Da ultimo l’Inps comunica i suoi dati: aumentano i contratti a tempo indeterminato nel bimestre gennaio-febbraio 2015 (+12,3%). Sono 403.386. In totale le assunzioni sono state 968.883, per cui il tempo indeterminato è arrivato al 41,6% del totale nuove assunzioni. Si riducono le assunzioni precarie e aumentano i posti fissi. Ma il saldo assunzioni rispetto all’anno prima (gennaio-febbraio 2015 su gennaio-febbraio 2014) rivela il topolino: le nuove assunzioni (aggiuntive) sono state solo 13 (968.883 su 968.870). Il che conferma a sua volta che, almeno per ora, più che di nuove assunzioni dovremo parlare di assunzioni sostitutive, più che di nuovi posti di lavoro dovremo parlare di vecchi posti trasformati: solo 13 sono i posti in più.
Che fare? Intanto smettere la lotteria dei numeri e la corsa ad appuntarsi medaglie. I fornitori di dati sono Istat, Ministero del Lavoro (Comunicazioni obbligatorie) e Inps. Perché anziché offrire in pasto ai giornalisti dati diversi e contraddittori non pianificano meglio le uscite e, soprattutto, perché non spiegano bene e fino in fondo la qualità dei dati? Sappiamo che i dati fanno discutere, tengono alta la discussione e fanno talk show. La chiarezza del cittadino viene avvolta invece da nebbia fitta e i posti di lavoro creati la mattina rischiano di non durare sino a sera.