L’impatto sulla pianificazione dei costi del personale delle recenti novità in tema di contratti a termine e tutele crescenti
L’impatto sulla pianificazione dei costi del personale delle recenti novità in tema di contratti a termine e tutele crescenti.
Le recenti riforme legislative in tema di contratti a termine (e somministrazione a termine) unitamente alla recente sentenza della Corte Costituzionale (di cui si attendono ancora le motivazioni) in tema di determinazione dell’indennizzo per i licenziamenti illegittimi intimati sotto il regime delle tutele crescenti, hanno creato non poco scompiglio soprattutto in chi si trova a dove pianificare i costi del personale (e delle eventuali riduzioni dello stesso).
Varrà la pena ricordare che lo scenario in cui ci si muoveva sino a luglio di quest’anno era quello di poter pianificare assunzioni a termine, dirette o in regime di somministrazione, con alcuni limiti molto puntuali. Allo stesso modo era chiaro che, salvo il caso di licenziamento per giusta causa per il quale permaneva il rischio di reintegra in caso di prova dell’insussistenza del fatto materiale, un licenziamento eventualmente illegittimo avrebbe avuto conseguenze molto chiare in termini di determinazione dell’indennizzo.
Il c.d. Decreto Dignità e la Corte Costituzionale hanno significativamente modificato questo scenario.
Sul versante dei rapporti a termine, è chiaro a tutti che stipulare contratti a termine oltre il primo anno risulta estremamente rischioso, visto quanto accaduto precedentemente sotto il regime della vecchia disciplina delle causali. A maggior ragione deve dirsi in caso di rinnovo, posto che oltre al principio che tutti i rinnovi sono assoggettati alla regola della causalità (anche se vi fosse un rinnovo entro il primo anno), ad essi si applica anche la maggiorazione dello 0,5% del contributo addizionale previsto per i contratti a termine.
Il che significa che in sede di pianificazione delle esigenze di organico, occorrerà valutare con molta prudenza la prosecuzione del rapporto a termine in regime causale, dando pressoché per scontato che, in caso di mancata conversione dello stesso alla scadenza del rapporto, il lavoratore impugnerà quasi certamente. Sotto questo profilo, a rendere pressoché certa l’impugnazione, si pone l’allungamento dei termini portati dal legislatore dai 120 gg (introdotti dalla c.d. legge Fornero) ai 180 giorni, un tempo più che congruo per effettuare le valutazioni necessarie all’impugnazione.
In questo contesto, un atteggiamento prudente in sede di pianificazione e predisposizione del budget dovrebbe tenere conto che in caso di trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, oltre alla circostanza che il lavoratore deve essere considerato assunto a tutti gli effetti, occorre indennizzarlo con una somma che va da un minimo di 2,5 mensilità a 12 mensilità di retribuzione utile al calcolo del TFR.
In definitiva, salvo si tratti di ragioni sostitutive, è evidente che esaurito il periodo di acausalità del rapporto, la scelta che deve essere fatta è in realtà tra l’immediata conversione in un rapporto a tempo indeterminato ovvero la cessazione del medesimo. Sconsigliabile è invece la prosecuzione del rapporto a termine in regime causale.
Considerato che il legislatore in sede di conversione del decreto ha previsto un regime transitorio fissando al 31 ottobre prossimo la data in cui la normativa in tutte le sue sfaccettature entrerà in vigore occorre svolgere qualche considerazione su alcune valutazioni che possono essere svolte in questi ultimi giorni.
Fermo che la nuova normativa si applica ai contratti sottoscritti dopo l’entrata in vigore del decreto legge (ossia il 14 luglio), il problema riguarda principalmente i rinnovi e le proroghe di contratti sottoscritti prima del 14 luglio.
Secondo la disciplina transitoria, la nuova regolamentazione si applica solo se la proroga e il rinnovo sono successivi al 31 ottobre. Tralasciando il problema, probabilmente solo teorico, delle proroghe e i rinnovi effettuati tra il 14 luglio e l’11 agosto, ed essendo chiaro che per i contratti con scadenza precedente al 31 di ottobre le proroghe e i rinnovi effettuati prima di tale data sono assoggettati interamente alla vecchia disciplina, la questione interessante riguarda la possibilità di anticipare la proroga per quei contratti che andrebbero a scadere successivamente al 31 ottobre.
Non vi è, infatti, dubbio che in astratto nulla vieta di anticipare la proroga del contratto a termine prima della scadenza del medesimo. Da alcuni si è però avanzata cautela perché tale anticipazione potrebbe essere letta come un tentativo di eludere il termine di entrata in vigore della nuova normativa.
Probabilmente un problema di elusione o frode alla legge potrebbe avanzarsi quando la proroga sia anticipata in modo significativo rispetto alla scadenza (ad esempio contratto sottoscritto il 1° luglio con scadenza gennaio/febbraio). Diverso appare il caso in cui il contratto sarebbe scaduto poco tempo dopo il 31 ottobre, sicché può ben ritenersi che il datore di lavoro abbia già effettuato la valutazione se prorogarlo o meno e in tal senso avvalersi di una disciplina più favorevole e meno rischiosa appare del tutto legittimo (e peraltro anche vantaggioso per il lavoratore che si vede prolungare un rapporto che viceversa verosimilmente sarebbe stato lasciato scadere).
Per quanto riguarda invece la somministrazione di lavoro, alla quale si applica la medesima disciplina della causalità prevista per il contratto a termine, occorre evidenziare che in sede di pianificazione è stato introdotto un nuovo limite percentuale.
Com’è noto, prima del Decreto Dignità a livello legislativo gli unici limiti percentuali erano previsti per i contratti a tempo determinato (20%), salve le diverse previsioni della contrattazione collettiva. Per quanto riguarda invece la somministrazione, il limite percentuale era interamente demandato alla contrattazione collettiva dell’utilizzatore.
Il Decreto Dignità disegna, invece, un limite cumulativo del 30% per i contratti a termine e i contratti di somministrazione a termine, sicché occorrerà destreggiarsi tra le diverse discipline dei limiti percentuali sia di fonte legale che di fonte contrattuale, essendo peraltro consapevoli che le stesse esclusioni dall’applicazione delle percentuali sono diverse tra contratti a termine e contratti di somministrazione a termine (ad esempio sono esclusi dal computo delle percentuali le assunzioni a termine dirette effettuate per la fase di avvio di nuove attività, ma non i contratti di somministrazione, mentre sono esclusi dal computo i contratti di somministrazione con lavoratori svantaggiati ma non i contratti a termine con questi soggetti).
Venendo infine al versante dell’indennità per licenziamento illegittimo, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale, può dirsi con ragionevole certezza che il meccanismo di calcolo automatico dell’indennità, crescente al crescere dell’anzianità aziendale, non è più operante sicché oggi, per tutti i licenziamenti, il giudice può individuare discrezionalmente il numero delle mensilità tra 6 e 36, paradossalmente quindi in un range più ampio di quello operante sotto il vigore della legge Fornero (da 12 a 24).
Con un range così ampio, appare evidente la difficoltà di formulare ipotesi attendibili di un costo di uscita.
Certamente occorrerà tornare a prestare grande attenzione alla individuazione e redazione dei motivi del licenziamento, posto che in caso di illegittimità del licenziamento il giudice (salvo rapporti di brevissima durata) molto probabilmente liquiderà una somma più elevata di quella che sarebbe stata liquidata sotto il vigore della previgente disciplina in misura tanto maggiore quanto più grave apparirà l’infondatezza e/o la genericità del motivo addotto.
Un esempio in tal senso può ricavarsi dal recente provvedimento del Tribunale di Bari che in un caso di licenziamento collettivo ritenuto illegittimo anziché liquidare le 4 mensilità (previste prima della recente modifica), ha ritenuto di fissare il risarcimento in 12 mensilità (ossia tre volte superiore all’indennizzo precedente e pari al 50% di quello che all’epoca era l’importo massimo) valorizzando l’elemento della “gravità” della violazione per poi temperarlo con la considerazione delle ridotte dimensioni aziendali (17 dipendenti) e della scarsa anzianità del lavoratore (20 mesi).
L'avv. Mattia Lettieri è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2001 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2016. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’Avv. Francesco Tanca lo Studio Lettieri & Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.