LEADERSHIP: UNA COMPETENZA MANAGERIALE?
Il tema della leadership è un tema cruciale per qualsiasi organizzazione. Anzi, senza timore di esagerare, si potrebbe dire che è una questione fondamentale per la società stessa fin dall’antichità.
Potremmo risalire fino a Platone se volessimo ripercorrere la storia del pensiero occidentale sul ruolo dei leader, i loro doveri e le loro caratteristiche, ma come noto il primo a trattare di leadership in modo strutturato, di fatto forgiando il concetto come noi lo conosciamo oggi, fu Max Weber all’inizio del XX secolo: in estrema sintesi, lo studioso si pose l’obbiettivo di rispondere alla domanda “dove trae la propria legittimazione un capo?”.
Dalla famosa suddivisione di Weber fra i tre tipi di leadership (tradizionale, carismatica e legale-razionale) ad oggi le idee sui leader si sono parecchio evolute. Pur essendo consolidato il principio che parlare di leadership significhi parlare essenzialmente del rapporto fra personalità del “capo” e regole dell’organizzazione (formali e informali), nel tempo il focus s’è spostato dal concetto di potere a quello di influenza, da quello di controllo a quello di partecipazione, da quello di autorità formale a quello di autorità sostanziale (autorevolezza).
Un’evoluzione che ha avuto un grande impulso soprattutto grazie ai filoni interpretativi della teoria della contingenza (Fiedler) e della teoria situazionale (Hersey & Blanchard), che, volendo ridurre ai minimi termini il loro contributo, hanno posto l’accento sul ruolo del leader come guida, piuttosto che come capo, e soprattutto sull’esigenza per una leadership efficace di adattare lo stile di gestione al contesto e alle caratteristiche individuali dei collaboratori (competenze, motivazione, etc.). Gli psicologi ed in particolar modo gli studiosi dell’intelligenza emotiva, hanno consolidato questi concetti identificando nella capacità empatica dei leader, la pietra angolare di una leadership che potremmo definire adattiva.
Non si tratta di concetti da prendere alla leggera, anche in azienda, poiché tutti gli elementi organizzativi della leadership ne escono fortemente indeboliti: le regole formali, i processi, le gerarchie, secondo un simile approccio, sono utili per ottenere conformismo, che tuttavia è cosa diversa dalla motivazione. Quest’ultima, che viene identificata come il motore di prestazioni eccellenti, si alimenta e cresce solo grazie al lavoro personale del leader sul proprio team, senza poter contare più di tanto sul principio di autorità (in proposito consigliamo di dare un’occhiata a video su Yves Morieux). Si tratta cioè di “entrare in risonanza” per citare un’espressione cara a Daniel Goleman.
Se a tutto questo aggiungiamo il problema della multiculturalità, tipico delle organizzazioni multinazionali di tutte le dimensioni, si capisce che, come ad una barca a vela non basta il timone, ma serve il vento per muoversi verso una meta, allo stesso modo ad un manager non bastano le competenze tecnico-professionali e l’autorità formale, ma servono solide doti di leadership.
In quest’ottica, una domanda diventa fondamentale: leader si nasce o si diventa? In altre parole la leadership è una competenza o un “carisma” personale?
La risposta a questo interrogativo è gravida di conseguenze, soprattutto dal punto di vista dei manager delle risorse umane. Se la leadership è un carisma, infatti, il problema diventa quello di scegliere i leader. Se è una competenza, il focus si sposta sulla formazione e lo sviluppo, fermo restando l’utilizzo di un idoneo iter di selezione.
Per quanto concerne la mia esperienza – molto empirica – di HR manager prima e di consulente adesso, sono ormai propenso a sposare la seconda opzione.
I manager che sono anche leader efficaci, almeno dal mio punto di osservazione, hanno tutti almeno tre caratteristiche (oltre a competenze tecnico-professionali di alto livello): 1. Visione sistemica; 2. Capacità di comunicazione; 3. Adattabilità.
La prima risorsa consente loro di essere davvero un guida, degli ispiratori (in proposito, per chi non l’avesse ancora visto consigliamo questo noto video di Simon Sinek).
La seconda è la chiave dell’empatia e quindi della capacità di comprendere le persone, di fornire loro feedback efficaci e di farsi capire a propria volta.
La terza è quella che consente ai leader di cambiare lo stile di leadership, cioè le modalità d’interazione con i collaboratori, ma anche con i capi, in funzione del contesto, al fine di massimizzare produttività, problem solving e innovazione degli individui e del team.
Si tratta di competenze, cioè di capacità che possono essere apprese e interiorizzate? Probabilmente non da zero, ma senz’altro si possono sviluppare e in modo esponenziale.
Come? Senza la pretesa di dare ricette, ma con il vantaggio di un angolo di osservazione privilegiato, la mia esperienza e quella dei colleghi di JobPricing ci ha portato ad identificare alcune linee guida:
a. Lavorare sulle capacità del leader in generale: è necessario dotare i manager di un solido bagaglio di conoscenze su che cosa sia la leadership; su come agisca da un punto di vista organizzativo e psicologico; sul perché influenzare sia una dimensione che non può ridursi alla triade comando, delega, controllo. Ma non solo, è necessario che i leader sviluppino competenze di autodiagnosi per comprendere sé stessi e le caratteristiche del proprio modo di essere “capi”, poiché senza consapevolezza di sé non può esserci sviluppo nel rapporto con gli altri.
b. Lavorare su un modello di leadership dell’organizzazione: è fondamentale che un’organizzazione codifichi, sulla base della propria missione, della visione e dei valori un modello di riferimento, che sia lo standard, l’obbiettivo al quale i manager dovrebbero tendere e del quale dovrebbero essere rappresentativi (leading by example).
c. Lavorare su sistemi che consentano di pianificare e misurare lo sviluppo della leadership: non diversamente da altre competenze e ambiti di performance aziendale, anche il livello della leadership dovrà essere adeguatamente monitorato, valutato, sottoposto a feedback ed eventualmente collegato a sistemi di incentivazione/ricompensa.
Gli strumenti che si possono utilizzare sono noti: formazione, coaching, sistemi di performance management. Le scuole di pensiero in merito sono le più varie. Ciò che conta di più, tuttavia, è porre al manager un obiettivo di sviluppo della sua leadership, non diversamente da quanto si farebbe con una competenza hard o con un target economico-finanziario. A quel punto, una volta che l’obiettivo sarà stato condiviso e interiorizzato, sarà infatti il manager stesso a volersi impegnare per sviluppare le proprie competenze. E all’HR a quel punto spetterà il compito di essere la principale guida (il leader!) lungo questo cammino.
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.