La tutela del lavoratore in caso di licenziamento in costanza di patto di prova nullo | Orientamenti giurisprudenziali
Nell’affrontare il tema della tutela applicabile al lavoratore in caso di licenziamento per mancato superamento della prova quando il patto di prova è nullo, va anzitutto premesso che, laddove il licenziamento provenga da un datore di lavoro privo dei requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, della L. n. 300/1970 (ossia che occupi meno di 61 dipendenti sul territorio nazionale e meno di 16 dipendenti nell’unità produttiva o nell’ambito del comune ove opera il lavoratore licenziato), è pacifico che la tutela non possa che essere meramente indennitaria, non esistendo in generale (com’è ben noto) una tutela reintegratoria per i licenziamenti provenienti da imprese prive dei citati requisiti dimensionali (con la sola eccezione del licenziamento discriminatorio, ritorsivo o comunque nullo).
È stata invece ampiamente discussa in ambito giurisprudenziale la possibile applicazione della tutela reintegratoria quando ad intimare un licenziamento per mancato superamento della prova in forza di patto di prova nullo siano imprese con i suddetti requisiti dimensionali. Ora, onde affrontare tale tematica, è necessario tenere presenti le diverse tutele applicabili ai lavoratori in caso di licenziamento illegittimo a seconda che siano stati assunti prima o dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, ossia del decreto attuativo del Jobs Act che ha riformato la materia della tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Com’è noto, infatti, agli assunti prima della data di entrata in vigore del citato Decreto Legislativo (avvenuta il 7 marzo 2015) si applicano le tutele previste dall’art. 18 della L. n. 300/1970, come modificato dalla L. 92/2012 (la c.d. “legge Fornero”), mentre a quelli assunti successivamente si applicano le tutele previste nel Decreto stesso.
Per quanto concerne gli assunti precedentemente alla predetta data, si è ormai da tempo consolidato in giurisprudenza il principio sostanzialmente univoco (da ultimo confermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 17528/2017) secondo cui il recesso datoriale dal rapporto di lavoro in costanza di un patto di prova nullo sia da considerarsi alla stregua di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo per manifesta insussistenza del fatto posto a base dello stesso che, come tale, implica per il lavoratore licenziato l’applicazione della c.d. tutela reintegratoria “attenuata” ai sensi del combinato disposto dei commi 4 e 7 dell’art. 18 della L. 300/1970 (ossia la “reintegrazione nel posto di lavoro” ed il “pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione” in ogni caso non “superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”, con facoltà del lavoratore di optare per un’indennità di quindici mensilità globali di fatto in alternativa alla reintegrazione).
Per quanto riguarda invece agli assunti dopo il 7 marzo 2015, a seguito dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 23/2015, è sorto un dibattito giurisprudenziale (per ora, a quanto consta, ancora limitato ai tribunali di merito) su quale tutela debba essere applicata in caso di licenziamento per mancato superamento della prova in forza di patto di prova nullo. In particolare, la principale questione discussa dai giudici di merito, in buona sostanza, è se il licenziamento per mancato superamento della prova debba essere qualificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in relazione al quale il D.Lgs. 23/2015 prevede esclusivamente una tutela indennitaria, oppure come licenziamento disciplinare per fatto insussistente, in relazione al quale, invece, il citato Decreto Legislativo prevede (all’art. 3, comma 2) una tutela del tutto analoga a quella sopra citata di cui al combinato disposto dei commi 4 e 7 dell’art. 18 della L. n. 300/70. In proposito, si sono fatti strada nei tribunali di merito due orientamenti: uno, prevalente, che, nel caso di recesso in prova con patto di prova nullo, esclude la tutela reintegratoria di cui all’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2015 ed uno, minoritario, che invece ritiene applicabile tale tipologia di tutela anche in tale ipotesi.
Quanto al primo dei citati orientamenti segnaliamo, tra le ultime, la sentenza del Tribunale del Lavoro di Milano pubblicata in data 8 aprile 2017 che è giunta ad escludere la suddetta tutela reintegratoria ritenendo che il recesso in prova non possa in alcun modo essere considerato di natura disciplinare. Di tale avviso sono anche il Tribunale del Lavoro di Firenze (che è giunto alle medesime conclusioni con analoghe motivazioni: cfr. Trib. Lav. Firenze 12 aprile 2017) e il Tribunale di Roma (che per giungere a tale conclusione ha più che altro considerato la ratio sottesa al menzionato D.Lgs. n. 23/2015 evidentemente volta alla limitazione della tutela reintegratoria in favore di quella meramente indennitaria: cfr. Trib. Lav. Roma 6 novembre 2017).
Quanto al secondo orientamento sopra menzionato, segnaliamo le due principali sentenze che lo hanno da ultimo sostenuto, una sempre del Tribunale del Lavoro di Milano (cfr. Trib. Lav. Milano 3 novembre 2016) e l’altra del Tribunale del Lavoro di Torino (cfr. Trib. Lav. Torino 9 settembre 2016). In particolare, entrambe le citate sentenze hanno accertato (con riferimento alle fattispecie rispettivamente esaminate) la carenza di forma scritta del patto di prova e la sua conseguente nullità facendone conseguire in favore del lavoratore la tutela reintegratoria ex art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2105 (il Tribunale di Milano qualificando la “carenza di forma scritta del patto di prova” come “insussistenza del fatto materiale contestato”, quello di Torino ritenendo che il licenziamento in costanza di patto di prova nullo per difetto di forma scritta sia da considerarsi “una fattispecie di licenziamento per motivi soggettivi di cui è ontologica l’insussistenza”).
Alla luce di quanto precede, è da ritenersi quindi che, sul tema appena esaminato, pur essendo già individuabile un orientamento maggioritario, il dibattito giurisprudenziale sia ancora aperto.
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