La soddisfazione sul posto di lavoro
“Se lavoro più duramente, avrò maggior successo. Se avrò maggior successo sarò più felice.”
Questo assioma esprime quanto le persone credano di poter afferrare la felicità una volta arrivati al successo. Perciò si passa la vita cercando di prendere i voti migliori, iscrivendosi alle facoltà più prestigiose, trovando un buon posto di lavoro, ottenendo promozioni, diventando capi, dirigenti, direttori generali, amministratori delegati, CEO, presidenti della repubblica, capi supremi del mondo….
Questa idea che il successo sia come l’arcobaleno della leggenda irlandese, alla fine del quale trovare quella pentola d’oro chiamata felicità nasconde però un’insidia: è sbagliata!
È Shawn Achor a condurre le prime ricerche al riguardo, scoprendo che ogni volta che la mente registra un successo, cambia il limite che definisce il successo stesso. E se la felicità si trova oltre il successo, la nostra mente non troverà mai la felicità e non la troverà perché funziona al contrario, ne è la prova il c.d. “vantaggio della felicità”: se una persona è positiva, il suo cervello funziona meglio di quando è negativa. In particolare, le persone positive aumentano del 31% la loro produttività. Si può quindi dire che la felicità non è una conseguenza del successo, ma anzi, è il successo ad essere una conseguenza della felicità! Allo stesso modo, la soddisfazione sul posto di lavoro non è data dal successo ottenuto, ma dall’atteggiamento positivo verso il lavoro stesso!
Ma allora, quali sono le leve che spingono i lavoratori a scegliere un posto di lavoro, cambiarlo o restare? Quali sono le percezioni dei lavoratori riguardo a determinati item? Come si compone il pacchetto di compensation ideale? Insomma, i lavoratori sono felici del loro posto di lavoro e del loro stipendio?
Anche quest’anno JobPricing, in collaborazione con InfoJobs, ha chiesto ai lavoratori italiani di esprimere la loro soddisfazione riguardo la retribuzione. La relazione tra retribuzione e soddisfazione è in grado di portare alla luce quali sono gli elementi fondamentali per considerare un posto di lavoro “soddisfacente”.
Anche quest’anno, vengono indagate tre aree:
- Quali sono le motivazioni che spingono i lavoratori a scegliere un posto di lavoro, cambiare un posto di lavoro, o restare?
- Quale relazione c’è tra lavoro, retribuzione e soddisfazione? Come percepiscono i lavoratori italiani l’equità, la competitività, il rapporto tra performance e retribuzione, la trasparenza, la condivisione delle motivazioni alla base di riconoscimenti di merito e la meritocrazia in azienda?
- Quale sarebbe il compensation mix ideale secondo i lavoratori?
I soldi non comprano la felicità… o sì?
Nei fattori più importanti per la scelta di un posto di lavoro, la retribuzione fissa è al primo posto, ma quest’anno deve condividere il primato con le relazioni interpersonali positive con capi, colleghi e collaboratori. Le persone non scelgono un posto di lavoro solo ed esclusivamente per la retribuzione fissa (che d’altra parte è l’unica cosa certa quando si inizia un nuovo lavoro), ma trovano altrettanto importante trovare relazioni positive. Seguono a ruota la possibilità di fare carriera e il contenuto del lavoro (attività interessanti, importanti, mansioni ricche). La retribuzione è quindi fondamentale nella scelta del posto di lavoro, ma lo sono anche le relazioni interpersonali in ufficio.
I fattori che spingono i lavoratori a cambiare posto di lavoro sono, come prima, la retribuzione fissa (si cambia per avere un aumento della retribuzione), ma anche la possibilità di sviluppo di carriera (quindi una retribuzione, in prospettiva, più alta?) e la possibilità di bilanciare lavoro e vita privata. La retribuzione fissa è fondamentale per il 70% dei lavoratori intervistati. Se nella scelta del posto di lavoro la retribuzione condivide il podio con le relazioni positive, nel cambiare posto di lavoro invece è la parte remunerativa a fare da padrona.
Perché invece si resta? gli italiani non restano per la retribuzione fissa (che si posiziona al 5° posto tra i fattori di scelta), ma restano per le relazioni interpersonali, per l’ambiente di lavoro e per la possibilità di conciliare lavoro e vita privata.
Insomma, si resta per un’esperienza complessiva nel contesto di lavoro, si valuta di andarsene soprattutto per lo stipendio.
Qual è la soddisfazione dei lavoratori italiani?
Per la prima volta in quattro anni di rilevazione, il livello di soddisfazione è in peggioramento rispetto all’anno precedente.
La percezione di equità interna è bassa e si aggrava per chi percepisce solo lo stipendio fisso.
Per quanto riguarda la competitività, ovvero come si viene pagati nella propria azienda rispetto ad altre realtà simili nel mercato, l’indice anche questa volta cambia in relazione al pacchetto retributivo percepito: chi possiede solo la retribuzione fissa o un bonus discrezionale a fine anno, ha un indice di gradimento sotto i 5 punti[1]. Al contrario, tutti coloro i quali percepiscono pacchetti retributivi più ampi, hanno un indice di soddisfazione sopra i 5 punti.
La percezione di coerenza tra retribuzione e performance individuale è critica. Coloro i quali percepiscono solo la retribuzione fissa hanno una percezione fortemente negativa di questo aspetto, attestando il proprio indice di soddisfazione a 2,8. Isolando questo dato, tutti gli altri lavoratori hanno una percezione che va da 4 a 5 punti.
La trasparenza, a differenza di altri indici, è l’unico item in crescita negli ultimi anni (ma in calo rispetto allo scorso anno). Anche in questo caso, chi percepisce solo la retribuzione fissa ha un indice di soddisfazione più basso di tutti gli altri. Ai livelli dirigenziali è bene segnalare che l’indice si posiziona a 7,4 punti, segno che ai vertici dell’azienda le procedure e i criteri seguiti per i riconoscimenti di merito sono noti.
Solo il 9,1% dei rispondenti si dichiara completamente d’accordo con le motivazioni alla base dei riconoscimenti di merito nell’azienda. In questo caso è addirittura il 32.4% a non essere d’accordo con i criteri adottati dal datore di lavoro.
La meritocrazia è l’item che manda su tutte le furie soprattutto impiegati e operai, che danno un indice di soddisfazione rispettivamente del 2,8 e del 2,0. Anche in questo caso chi percepisce solo la retribuzione fissa è più insoddisfatto del resto dei lavoratori, assegnando un indice di 2,3.
Uno spunto di riflessione è dato dall’evidenza di come i livelli di soddisfazione siano sempre più alti al nord Italia, tra dirigenti e quadri, e nelle grandi e medio-grandi aziende.
Dall’analisi integrata dei dati, sembrerebbe esistere una forte correlazione tra l’indice generale di soddisfazione e gli indici di equità interna e di rapporto tra performance e retribuzione. Questo risultato ci porta a considerare come l’adeguata gestione delle politiche retributive sia la chiave per ottenere alti livelli di soddisfazione. In termini pratici, questo vorrebbe dire associare lo stipendio in prima battuta al valore del lavoro (retribuzione simile per tutti coloro i quali svolgono lo stesso ruolo), e valore della persona (retribuzione differenziata per i lavoratori che hanno performance migliori). I principi del valore del lavoro e del valore della persona, dovrebbero essere condivisi, perché solo in contesti in cui esiste reale condivisione dei criteri di gestione delle retribuzioni può esserci percezione di meritocrazia.
Lo stipendio… è giusto?
I lavoratori pensano che lo stipendio “giusto” sia più alto del 25% rispetto allo stipendio realmente percepito.
Il 63% dei rispondenti inoltre pensa di guadagnare meno di coloro che in altre aziende svolgono la medesima professione. Ricordiamo che le risposte date circa la competitività della propria retribuzione rispetto alle retribuzioni di altre aziende denota che il 70% dei rispondenti non ha una posizione precisa sul proprio posizionamento. Dall’incrocio di questi due dati si può dedurre che le risposte siano date “di pancia”, senza una reale consapevolezza del proprio benchmark di mercato.
Il pacchetto ideale.
Il 70% dei lavoratori sarebbe disposto a rinunciare ad una mensilità di stipendio fisso, a condizione di poter usufruire di un percorso di formazione che consenta loro di aumentare lo stipendio annuo di almeno 4 mensilità in tre anni (“una piccola rinuncia oggi per una grande ricompensa domani”). Oppure per un bonus variabile basato su obiettivi individuali che valga almeno 2 mensilità di stipendio annuo. Infine, il 7,6% dei lavoratori rinuncerebbe ad una mensilità di stipendio per avere in cambio servizi che migliorano la qualità della vita sul lavoro e servizi che agevolano la conciliazione con la vita privata. I servizi welfare, in grado di aumentare il potere d’acquisto a parità di retribuzione, si posizionano all’ultimo posto, a riprova del fatto che i servizi prettamente economici non sono in prima battuta in grado di motivare i lavoratori.
In conclusione, per quanto la retribuzione sia una leva fondamentale in mano alle risorse umane, diventa origine di demotivazione quando le politiche retributive sono assenti, sconosciute, o non condivise. E se la soddisfazione viene generata dall’atteggiamento positivo verso il lavoro, è compito delle risorse umane far sì che le persone adottino quell’atteggiamento positivo che può scaturire da un’efficace comunicazione di ottime regole di gestione delle politiche retributive.
[1] L’elaborazione delle risposte date dai lavoratori si basa su un indice di soddisfazione che va da 0 a 10. Gli indici sotto i 3,3 punti sono considerati fortemente negativi. Gli indici tra 3,3 e 5 sono considerati leggermente negativi, quelli tra 5 e 6,7 leggermente positivi. Gli indici sopra 6,7 sono considerati giudizi fortemente positivi.
Laureata in giurisprudenza nel 2017, decide di concentrare i suoi studi in un Master in gestione e sviluppo delle risorse umane, conseguendo il titolo a pieni voti con una tesi dedicata alla gestione delle politiche retributive. Dopo un’esperienza in azienda, a giugno 2019 entra nel team di JobPricing.