Districarsi nella giungla dei diversificati tipi di incentivi alle assunzioni non è mai stato facile, soprattutto in passato.
Prova ne sono i manualetti e gli schemi pieghevoli riepilogativi distribuiti dalle Associazioni datoriali e i ricorrenti seminari sul tema. Questa complessità era sicuramente anche a causata dalla modalità con cui sono scritti i testi normativi e il proliferare di circolari interpretative che spesso lasciano ancora più in confusione chi deve applicare le regole in azienda.
L’introduzione recente dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato ha avuto quantomeno il pregio di avere una certa ‘semplicità’ di applicazione e ci ha permesso di fare in maniera piuttosto immediata la valorizzazione del possibile saving derivante da una singola assunzione a tempo indeterminato indipendentemente dalla età, sesso, provenienza geografica della persona.
Da una indagine* fatta da AIDP fra tutti gli associati alla fine del primo anno di applicazione dell’esonero contributivo è emerso che il 66% degli intervistati ha proceduto a trasformare contratti a termine in contratti a tempo indeterminato e l’82% era intenzionato a continuare a farlo se l’incentivo fosse stato riproposto anche per l’anno seguente. Questo può essere letto come un segnale che le aziende hanno effettivamente colto l’occasione e hanno ‘buttato il cuore al di là dell’ostacolo’; hanno deciso di rischiare un po’ di più riguardo i piani futuri, stabilizzando personale che era in forza per esigenze specifiche di cui non avevano ancora chiara visibilità temporale, puntando prima di tutto sulle persone. A fronte di questo hanno potuto contare su un ammontare certo di riduzione dei contributi che ha un innegabile peso sul budget complessivo di spesa del personale.
In ambito ‘multinazionale’ poi, poter dimostrare un saving consistente confermato per 2 o 3 anni, ha spesso rappresentato la via per farsi approvare dalla casa madre un aumento degli FTE che in altro contesto non avremmo nemmeno osato chiedere.
Nel complesso dunque credo di poter affermare che gli incentivi non si traducono tanto in un incremento di occupazione, quanto in una contrazione dei periodi che, a volte, le aziende si prendono per valutare le persone e una accelerazione positiva del momento in cui si comincia ad investire veramente in formazione e sviluppo.
Ovviamente tutto questo è andato di pari passo con l’introduzione della normativa sul nuovo contratto a tutele crescenti.
Rossella Seragnoli
Presidente AIDP Emilia Romagna