Chi pratica il mondo aziendale sa perfettamente che le scelte di investimento sono determinate dagli obiettivi e dalle strategie dell’Impresa dato un contesto economico e delle opportunità di mercato.
Ciò significa che gli interventi pubblici, che sicuramente possono contribuire a supportare ed indirizzare le scelte di investimento, difficilmente possono determinare “tout–court” decisioni di investimento in assenza di un contesto economico che le giustifichi.
Se questo vale per gli investimenti in strutture, impianti e tecnologie, acquisizione di altre aziende o parti di esse e quant’altro, la regola vale purtroppo (o per fortuna?) anche per quel che riguarda gli investimenti in Risorse Umane, cioè nelle decisioni di assunzione di Persone in Azienda.
Credo infatti che nessuno abbia mai assunto qualcuno esclusivamente allettato da incentivi contributivi o fiscali di qualsiasi tipo, salvo situazioni “border-line”, quando non addirittura fraudolente, che ci auguriamo tutti facciano ormai parte del passato del nostro Paese.
Venendo quindi a riflettere sull’impatto degli incentivi contributivi introdotti dalla Legge Finanziaria 2015, innanzitutto è doveroso riconoscere che si è trattato di uno dei più significativi interventi di incentivazione effettuati negli ultimi anni: 8.000 euro all’anno per un triennio è infatti un importo che incide in modo rilevante sul costo del lavoro.
La cosa è poi da inquadrare nel contesto dell’avvio del cosiddetto “Jobs Act” ed in particolare della norma che, modificando il fin troppo famoso art. 18 della Legge 300, ha definito in modo assai meno oneroso e – soprattutto – meno aleatorio, le conseguenze di una eventuale pronuncia di illegittimità di un licenziamento individuale.
In altre parole credo si possa dire che la concomitanza di un significativo incentivo economico con certezza della sua durata (triennale) nel tempo – cosa purtroppo non frequente nel nostro Paese – e della nuova disciplina delle conseguenze di eventuali illegittimità del licenziamento, abbia sicuramento favorito le decisioni aziendali di una maggior “stabilizzazione” degli organici.
Questo si è realizzato concretamente in forme molteplici quali le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine, l’assunzione diretta di personale precedentemente in somministrazione, il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato (“staff leasing”) tempestivamente proposto dalle società di somministrazione e naturalmente, ultima ma non certo per importanza, l’assunzione di personale precedentemente gestito con forme di collaborazione più o meno proprie. Quest’ultima opzione è stata peraltro fortemente “incentivata” dal venir meno delle collaborazioni a progetto sapientemente disposta in una regia complessiva del mercato del lavoro che questa volta bisogna riconoscere.
In sintesi credo che si possa dire che l’insieme degli interventi accennati ha sicuramente contribuito, quantomeno nelle imprese di medio-grandi dimensioni in buone condizioni economiche, ad una maggiore complessiva “stabilizzazione” degli organici. In tal senso la valutazione che ne farei da Direttore del Personale è complessivamente positiva.
Non so invece se si possa affermare che queste misure abbiano effettivamente dato un contributo all’incremento complessivo della base occupazionale in Italia, ma questa ovviamente è materia di altri.
Massimo Giuliberti
Direttore Risorse Umane del Gruppo Unichips