Focus sui problemi legati al rimpatrio alla fine del periodo di assegnazione all’estero
Normalmente la letteratura in tema di distacco si concentra sulla sua fase iniziale.
S’individuano quali possono essere le politiche di gestione del personale all’interno delle quali il distacco rappresenta uno strumento volto a valorizzare la crescita di determinate risorse.
S’indicano quelle che sono le regole giuridiche in presenza delle quali il distacco viene considerato legittimo.
Si evidenziano i regimi fiscali e previdenziali ai quali il lavoratore subordinato rimane soggetto durante il periodo di distacco.
Raramente si descrive quello che accade una volta che il distacco si conclude e quali possono essere le problematiche che il responsabile delle risorse umane e/o il lavoratore distaccato medesimo si trovano a dover gestire una volta che il rimpatrio è completato.
Le uniche aree su cui la giurisprudenza è intervenuta riguardano la natura di alcuni trattamenti riconosciuti al lavoratore distaccato durante il periodo di secondment e la loro conseguente incidenza su tutti gli istituti diretti ed indiretti e sulla posizione contributiva del lavoratore interessato.
Sostanzialmente, con il presente intervento, senza alcuna pretesa esaustiva, s’intende segnalare (oltre ai già citati orientamenti sulla natura retributiva o meno di alcuni trattamenti) alcune problematiche che è opportuno prendere in considerazione quando si affronta la fase di chiusura di un distacco.
I. – Il primo problema che occorre prendere in considerazione è quello delle mansioni a cui il lavoratore rimpatriato deve essere assegnato.
Infatti, eccezion fatta per i distacchi brevi, nel caso in cui il distacco si prolunghi per diversi anni, può accadere che non sempre il datore di lavoro sia in grado di reintegrare il lavoratore distaccato nelle medesime mansioni (anche perché nel frattempo fattori endogeni o esogeni possono aver influito sull’organizzazione dell’attività aziendale).
A questo riguardo può venire in aiuto già la lettera di distacco dove viene previsto che il lavoratore, al termine del periodo di distacco, “verrà riassegnato alle mansioni assegnate prima dell’inizio del distacco o in mansioni avente contenuto professionale equivalente”.
In questo modo il lavoratore è tutelato sussistendo un preciso impegno da parte del suo datore di lavoro a garantire, al suo rientro, l’assegnazione alle medesime mansioni o aventi contenuto professionale analogo.
In assenza di una specifica pattuizione, sicuramente può soccorrere il disposto dell’articolo 2103 del codice civile che prevede che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Pertanto, il lavoratore rimpatriato dovrà essere reimpiegato o nelle medesime mansioni che stava svolgendo prima del suo invio in distacco o in mansioni appartenenti allo stello livello di inquadramento del lavoratore (che però ha un contenuto differente da quello di “mansioni aventi contenuto professionale analogo”) o, addirittura, nelle superiori mansioni svolte durante il periodo di distacco.
II. – Ma questo aspetto apre inevitabilmente un’altra questione: il lavoratore rimpatriato ha acquisito, durante il periodo di distacco, specifiche esperienze e competenze che rendono il suo profilo strategicamente importante per l’azienda. Quindi, in determinate occasioni si rende necessario non disperdere questo patrimonio e, quindi, al rientro dal distacco, oltre a porsi il problema di quali mansioni assegnare al dipendente viene in rilievo anche l’esigenza di introdurre strumenti che permettano di garantire una stabilità nel rapporto per un certo periodo di tempo.
Quindi, il datore di lavoro può attivare politiche attive di tutela del proprio patrimonio stipulando con il lavoratore patti di stabilità (in virtù dei quali, per un certo periodo e a fronte di uno specifico corrispettivo, il lavoratore e il datore di lavoro si impegnano a non risolvere il rapporto di lavoro fatto salvo il caso di un grave inadempimento che non permette la prosecuzione neanche temporanea del rapporto di lavoro) oppure può attivare politiche passive di tutela stipulando con il lavoratore dei patti di non concorrenza (oppure modificando quelli già stipulati in precedenza) che devono essere conformi ai requisiti previsti dall’articolo 2125 del codice civile.
III. – Durante il periodo di distacco il lavoratore riceve determinate somme aggiuntive per (i) neutralizzare i maggiori costi della vita o comunque i disagi che lo stesso deve affrontare durante il secondment (indennità estero); (ii) sostenere i costi di un alloggio da utilizzare durante il periodo di distacco (indennità/rimborso alloggio estero). In alcuni casi vengono previste ulteriori erogazioni economiche in conformità a specifici accordi individuali o nel rispetto di quanto previsto dalle policy aziendali.
Per il datore è importante precisare che tali voci vengono riconosciute al dipendente in costanza di distacco e per risarcire le particolari modalità disagiate di svolgimento della prestazione e non per retribuire l’impegno personale e l’elevata professionalità dimostrata dal lavoratore (in quanto, in questo caso – come affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15217/2016, tali voci economiche dovranno essere conservate anche dopo il rientro in Italia). In questo modo il datore di lavoro può legittimamente sospendere l’erogazione di tali voci una volta completato il processo di rimpatrio.
Per il lavoratore è importante, invece, verificare che le voci riconosciute durante il periodo di distacco siano correttamente considerate ai fini del calcolo degli istituti contrattuali diretti ed indiretti nonché dei contributi previdenziali.
Infatti, con riferimento all’indennità estera, vi è un orientamento giurisprudenziale consolidato che considera tale voce quale componente retributiva e, pertanto, rilevante ai fini, ad esempio, del calcolo del trattamento di fine rapporto.
Analogamente, con riferimento all’indennità/rimborso alloggio estero, anche tali voci devono essere incluse nella base di calcolo di tutti gli istituti contrattuali quando non hanno natura meramente riparatoria (ossia ripristinare la diminuzione patrimoniale subita dal lavoratore che ha dovuto sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro) ma contengono un quid pluris.
E’ importante per il lavoratore distaccato verificare sia gli aspetti retributivi sia quelli contributivi in quanto entrambe le pretese sono soggette a regimi prescrizionali che potrebbero attivarsi anche in costanza di rapporto.
IV. – Infine, è opportuno che le parti coinvolte nella negoziazione delle condizioni di distacco prevedano che l’assistenza fiscale (normalmente garantita dalle policy aziendali per la mobilità transazionale e i cui costi sono normalmente sostenuti direttamente dal datore di lavoro in virtù di specifiche convenzioni) venga mantenuta almeno per il primo anno fiscale successivo al rimpatrio in quanto accade spesso che anche in tale periodo si rendano necessari adempimenti fiscali nel paese in cui il lavoratore distaccato ha lavorato e che richiedono un assistenza specialistica locale.
L'avv. Francesco Tanca è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2000 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2013. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’avv. Mattia Lettieri lo Studio Lettieri&Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.