Il performance management agile
Gli ultimi 14 mesi di crisi pandemica hanno posto i lavoratori e le organizzazioni di fronte alla necessità di adottare forme di lavoro a distanza più o meno definibili come agili.
Abbiamo affrontato le diverse fasi evolutive del fenomeno pandemico in coincidenza con le ondate del virus. La grande paura iniziale, il farsi forza reciprocamente (“andrà tutto bene”), le canzoni al balcone, il senso di smarrimento, lo scetticismo, il dramma della malattia e delle morti, la voglia di ripartire e ricominciare, la frustrazione, il senso di impotenza, le ricadute, di nuovo la paura che non finisca mai, la speranza.
Questa, sommariamente e senza voler essere un’analisi sociologica, è la cornice di riferimento in cui personalmente mi sono imbattuto collaborando e supportando aziende sia di grandi che di medio-piccole dimensioni nell’affrontare il tema del performance management in tempi di remotizzazione della prestazione lavorativa. Con persone, che vivevano di volta in volta le emozioni ed i drammi sopra elencati, costrette a lavorare in emergenza da casa, spesso con connessioni instabili, con solo una vaga idea di cosa volesse dire organizzarsi la giornata e l’agenda in remote-working e spesso con manager impreparati.
Soprattutto da questi ultimi mi sono pervenute richieste di aiuto su come gestire la performance dei propri collaboratori a distanza. Dapprima le difficoltà erano perlopiù operative, di distribuzione dei carichi di lavoro, di riorganizzazione dei processi e rimodulazione degli obiettivi di team e individuali. La motivazione della maggior parte dei collaboratori era alta. L’emergenza sanitaria aveva, per così dire, serrato le fila delle organizzazioni. Ovvero aveva fornito extra-motivazioni alla maggior parte delle persone coinvolte nel remote working.
Ma con il passare dei mesi si sono evidenziate le lacune della gestione classica del performance management applicata al remote working, con un impatto nel medio periodo demotivante sui lavoratori (tanto che negli ultimi mesi sono sempre più frequenti le richieste di un ritorno alla vecchia normalità, sempre più persone, stanche di lavorare in remoto, chiedono di poter tornare in presenza, sul luogo delle relazioni umane e professionali). Vediamole.
La prima lacuna: la scarsa digitalizzazione del processo.
Poche sono le aziende (solo il 42% delle 157 aziende intervistate nel “rapporto sul Performance Management 2020” – Osservatorio Job Pricing | Unimore | Fondazione Marco Biagi, in collaborazione con Etjca) che hanno integrato la gestione della Performance nei loro sistemi ERP e gestionali e ancora meno (aggiungo per esperienza personale) sono quelle che utilizzano App per snellire il processo e renderlo più efficace e chiaro.
La seconda lacuna: la difficoltà di rimodulazione in corso d’anno degli obiettivi
L’88% delle aziende intervistate hanno sistemi di performance management basati su un orizzonte annuale, assolutamente inadeguato a rispondere a crisi così repentine che stravolgono così radicalmente le modalità operative e richiedono un rapidissimo riallineamento a nuovi obiettivi.
La terza grande lacuna: l’incapacità di fornire feedback continui
Sempre dalla suddetta indagine emerge in maniera molto evidente come solo poche aziende si siano organizzate per gestire il feedback in modo non convenzionale e soprattutto più frequente, in modo da umanizzare un rapporto fattosi più freddo passando attraverso le piattaforme tecnologiche di collaborazione (Teams, Zoom, Meet le principali).
La quarta grande lacuna: l’impreparazione dei manager nel tenere coeso un team di lavoro fisicamente lontano
Difficile è stato (ed è) tenere alte le motivazioni di team di lavoro remotizzati, difficile parlare apertamente a distanza, difficile costruire relazioni sane, difficile cogliere i non detti ed i vissuti individuali se non si usano strumenti adeguati a prendersi cura delle relazioni umane anche a distanza.
A prescindere dagli sviluppi dello smartworking nei prossimi mesi e anni (quanto del lavoro agile diventerà effettivamente “new normal”, quanto sarà dimenticato oppure reso ibrido, parte in presenza e parte in remoto, quali categorie professionali saranno maggiormente coinvolte, etc.) su cui c’è ampio dibattito e su cui credo giusto sia ogni singola organizzazione a scegliere la formula migliore per sé, durante gli ultimi 14 mesi hanno funzionato bene le aziende che sono state in grado di adottare un sistema di gestione della performance che:
- fosse flessibile, semplice, continuo (con frequenti momenti di incontro capo-collaboratore: il tempo complessivo da impiegare nel performance management non diminuisce in remoto ma è un prezzo da pagare se si vuole essere efficaci) e bidirezionale,
- fornisse la possibilità di verificare frequentemente il grado di raggiungimento degli obiettivi
- fosse ancorato ad un solido modello di competenze, con una valutazione a 360° di queste, riducendo il grado di discrezionalità nella valutazione,
- fosse focalizzato sullo sviluppo dell’individuo, ovvero mettesse al centro l’individuo ed il suo futuro,
- fosse saldamente ancorato ad obiettivi comuni e condivisi di team (dai 3 ai 5 obiettivi comuni al team, in modo da tenere tutti agganciati ed orientati),
- prevedesse infine dei momenti di allineamento collettivo sullo stato di avanzamento nel raggiungere gli obiettivi prefissati.
La digitalizzazione del processo ha grandemente aiutato le aziende virtuose a rendere più efficace e, in un certo senso, accattivante e fresco il caro vecchio performance management.
Sono state utilizzate a tal fine WebApp o App per smartphone molto ben realizzate (erano già presenti sul mercato da qualche anno, a dire il vero) che hanno reso agile anche il performance management.
Da oltre 15 anni lavora come consulente in area HR, con particolare focus su Comp& Ben, Performance Management, OrganizationalDesign. Affianca l’attività di consulenza a quella di Vice President con deleghe operative per un’importante realtà industriale della bergamasca.