Il patto di non concorrenza, come disposto dall'art. 2125 cod. civ., è quel “patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”. Sempre ai sensi della citata norma del codice civile, il patto di non concorrenza è valido alle seguenti imprescindibili condizioni: (i) deve risultare da atto scritto; (ii) deve prevedere un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro; (iii) e deve avere ad oggetto un vincolo di non concorrenza a carico del lavoratore contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Uno dei punti da sempre più delicati e discussi in materia di patto di non concorrenza è certamente quello del corrispettivo, ossia dell’importo che, come da previsione del citato art. 2125 cod. civ., deve essere riconosciuto al lavoratore quale remunerazione della (temporanea) limitazione della libertà del medesimo di utilizzare le proprie capacità e competenze professionali.
Sul tema della misura di tale corrispettivo, la giurisprudenza è intervenuta più volte a tutela del lavoratore al fine di delimitare nell’ambito della ragionevolezza l’autonomia che il Legislatore ha lasciato alle parti in ordine alla quantificazione del corrispettivo del patto di non concorrenza. A tal fine, la giurisprudenza di merito e di legittimità si è ormai da tempo uniformata al principio secondo cui il corrispettivo del patto di non concorrenza – pur restando riservato, quanto alla sua determinazione, all’autonomia delle parti – deve essere determinato o determinabile al momento della stipula del patto, nonché congruo in relazione all’oggetto, alla durata e all’ampiezza territoriale del vincolo di non concorrenza in capo al lavoratore. In mancanza di tali requisiti il patto è da considerarsi nullo.
Più nello specifico, l’ormai univoco orientamento giurisprudenziale è quello di ritenere come “congrui” (e quindi non “simbolici”), a seconda della misura del “sacrificio” richiesto al lavoratore, corrispettivi compresi all’incirca tra il 15% e il 35% della retribuzione annua lorda del dipendente (fermo restando che, naturalmente, la capacità lavorativa del prestatore di lavoro non può essere totalmente inibita).
Altro punto ampiamente discusso in giurisprudenza e dottrina è quello della modalità di pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza (che, al pari della quantificazione del corrispettivo, è lasciata dal Legislatore all’autonomia delle parti).
In proposito, se non vi sono dubbi che il pagamento del corrispettivo in questione possa avvenire alla conclusione del rapporto di lavoro in un’unica soluzione o in più rate concordate dalle parti (sia nel loro ammontare che nella loro tempistica), è invece discussa (e consentita solo a determinate condizioni) la facoltà per il datore di lavoro di corrispondere detto corrispettivo nel corso del rapporto di lavoro. A tale ultimo riguardo, l’attuale prevalente orientamento della giurisprudenza pone come condizioni di legittimità del pagamento del corrispettivo del patto nel corso del rapporto di lavoro (a pena di nullità del patto stesso), da una parte, che la quota periodica (normalmente mensile) versata a titolo di corrispettivo del patto debba essere scorporata dalla retribuzione ed evidenziata in busta paga e, dall’altra, che (come già detto) tale corrispettivo consista comunque in un importo complessivo determinato o determinabile al momento della stipula del patto. Nel caso di rapporto a tempo indeterminato, tale requisito non è certamente rispettato se il corrispettivo viene pagato in quote fisse mensili (o comunque periodiche), posto che al momento della stipula è impossibile stabilirne l’esatto ammontare.
Stante quanto precede, laddove si intenda versare il corrispettivo del patto in costanza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato evitandone l’indeterminatezza, basterà prevedere un tetto minimo del corrispettivo che risponda nel caso specifico al criterio della “congruità” e pattuire che l’eventuale quota di tale tetto minimo di corrispettivo non ancora versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro venga corrisposta al lavoratore in seguito ad essa.
Non meno dibattito si è sviluppato negli anni in ordine alla problematica del regime fiscale e previdenziale applicabile al corrispettivo del patto.
In particolare, quanto al “tema fiscale”, dottrina e giurisprudenza lo hanno risolto nel senso di ritenere assoggettabili alla normale tassazione progressiva secondo aliquote i compensi per patto di non concorrenza erogati in costanza del rapporto di lavoro e di ritenere assoggettabili a tassazione separata quelli erogati all'atto della cessazione del rapporto di lavoro sia in un’unica soluzione sia a rate (con applicazione della medesima aliquota di tassazione utilizzata per il TFR).Quanto invece al “tema previdenziale”, l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente è quello di considerare rientranti nell’imponibile contributivo sia il compenso per patto di non concorrenza erogato nel corso del rapporto di lavoro sia quello corrisposto successivamente alla sua cessazione.
Nel primo caso, l’assoggettamento a contribuzione discende dal fatto che il pagamento del compenso in questione costituisce pacificamente un’erogazione effettuata dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro. Nel secondo caso, si evidenzia che il corrispettivo del patto di non concorrenza: (i) costituisce il corrispettivo di un'obbligazione di non fare; (ii) non è finalizzato ad incentivare l'esodo del lavoratore; (iii) e non costituisce una erogazione che trae origine dalla predetta cessazione, essendo il patto di non concorrenza totalmente autonomo rispetto alla cessazione del rapporto.
Pertanto, nella logica del prevalente orientamento giurisprudenziale appena menzionato, è da ritenersi che, attualmente, l’unico caso in cui il corrispettivo del patto di non concorrenza potrebbe essere legittimamente escluso dall’imponibile contributivo, è quello del patto di non concorrenza stipulato dopo la cessazione del rapporto di lavoro, con autonomo accordo tra ex datore di lavoro ed ex dipendente: solo in tal caso, infatti, il corrispettivo del patto potrebbe essere considerato totalmente “al di fuori” del rapporto di lavoro.
Avv. Vincenzo Casella
Lettieri & Tanca – Labour Lawyers
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