Il budget del personale oggi: missione impossibile?
Negli ultimi anni in Italia ci eravamo abituati a indicatori macroeconomici molto stabili: PIL in crescita molto ridotta, inflazione sostanzialmente stabile, tassi d’interesse prossimi allo zero, livelli di disoccupazione abbastanza costanti. L’arrivo, in veloce sequenza, della pandemia e della guerra in Ucraina hanno posto le aziende di fronte a sfide totalmente inedite, non solo nella gestione del business, ma anche nella gestione delle persone.
L’aumento vertiginoso dell’inflazione, trainata dal costo dell’energia, (+11.9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso nel dato più recente pubblicato dall’ISTAT) apre una questione serissima: l’aumento dei prezzi al consumo comporta una significativa riduzione nel potere di acquisto delle famiglie, con conseguente contrazione dei consumi e forte rischio di recessione dell’intera economia nazionale e internazionale. Di conseguenza, va rivisto l’approccio verso un fattore importantissimo nella gestione delle persone: le retribuzioni. Per quasi tutte le aziende italiane, con pochissime eccezioni, il tema dell’adeguamento delle politiche retributive rispetto al mercato ha rappresentato per lungo tempo un problema marginale. Nell’attuale congiuntura, invece, la pianificazione è diventata estremamente complessa: lo è, come detto, dal lato del business, e di conseguenza lo è per quanto riguarda il personale.
Insomma, il budget HR 2023 rappresenta un bel rompicapo. Da una parte, c’è la ragionevole necessità di tutelare il potere di acquisto dei dipendenti, dall’altra vanno salvaguardate la struttura dei costi e un minimo di marginalità. Quindi che fare?
Il dilemma è complesso e la sua risoluzione richiederebbe di dare risposte ad alcune domande chiave: quale sarà il tasso d’inflazione nei prossimi mesi? Ci saranno interventi a livello regolatorio? Con quali strumenti? Cosa succederà in fase di rinnovo dei CCNL? Purtroppo ad oggi non ci sono risposte certe a queste domande e i tempi brevi del processo di budgeting non possono attendere né l’approvazione della legge di Bilancio, né l’esito delle trattative sindacali.
L’incertezza richiede quindi soluzioni creative: non è possibile, infatti, pensare di ricorrere a un “market adjustment” tout-court, per ovvi motivi di sostenibilità nel breve e nel lungo periodo. In fondo, è ragionevole prevedere (o sperare?) che la situazione attuale possa rientrare in parametri più “normali” già nel prossimo futuro, per cui, anche ammettendo che fosse possibile, sarebbe poco saggio “consolidare” gli attuali livelli d’inflazione nelle retribuzioni. Ma qualche intervento è comunque urgente: in caso contrario, il rischio di perdere per strada le persone è elevatissimo.
Proviamo a vedere quali opzioni abbiamo a disposizione:
- Definire chiare priorità nell’allocazione di un budget di “market adjustment” sulle retribuzioni fisse. A fronte di una limitata disponibilità di risorse, probabilmente vanno valutate alcune strade alternative:
- adottare un approccio “sociale”, agendo sulla popolazione a più basso reddito, centellinando gli altri interventi (e rischiando di compromettere il posizionamento rispetto al mercato nelle fasce più professionalizzate)
- concentrarsi sui ruoli chiave, con il rischio di non rispondere appieno alle aspettative del resto della popolazione aziendale
- procedere con le consuete logiche di politica retributiva applicando proporzionalmente gli aggiustamenti, nei limiti della disponibilità, e affidando ad altri strumenti eventuali ulteriori misure sociali
- Intensificare l’utilizzo di strumenti che abbiano un rapporto favorevole tra costo e potere d’acquisto consegnato ai dipendenti. Ad esempio, i flexible benefits (il cd “welfare aziendale”) danno buone possibilità di conferire potere di acquisto aggiuntivo ai dipendenti senza sopportare il peso dei contributi e delle imposte, e ben si adattano, per loro natura, a iniziative collettive di tipo sociale, peraltro con una portata temporale definita e una budgetizzazione certa.
- Intervenire sulla retribuzione variabile, cercando di ottenere un buon livello di autofinanziamento del sistema. Quest’ultimo strumento porta con sé un limite strutturale: essendo basato su obiettivi che richiedono una rendicontazione avanti nel tempo, si rischia di pagare il relativo premio, nella migliore delle ipotesi, a fine 2023 o già nel 2024 (a emergenza, speriamo, conclusa). Per ovviare a questo limite, si potrebbe pensare di procedere con anticipi periodici, da conguagliare a fine periodo. Non si tratta di una soluzione agevole, ma consente di mettere risorse nelle tasche dei dipendenti nel breve termine senza interrompere il collegamento con gli obiettivi fissati. Viene inoltre da chiedersi se sia preferibile intervenire su incentivi individuali o collettivi. Probabilmente meglio seguire una logica collettiva, attraverso un accordo di secondo livello, che per sua natura consente di normare più efficacemente eventuali anticipi o, in alternativa agli anticipi, di inserire una opzione di conversione in welfare aziendale. Se si riuscisse inoltre a strutturare gli obiettivi nei termini previsti dalla legge per la detassazione, ecco che diverrebbe possibile fornire una ulteriore opportunità di recupero del potere d’acquisto a costo zero.
Quale che sia la soluzione preferita, una di queste o altre diverse, è molto importante comunicare ai dipendenti, nel modo più chiaro possibile, le ragioni della scelta e gli obiettivi che si stanno perseguendo: in situazione di crisi come quella odierna, far capire in modo efficace come e perché l’azienda supporta le proprie persone rappresenta ancor più del consueto il vero spartiacque tra successo e insuccesso.
Partner di JobPricing, approda alla consulenza dopo aver maturato una pluriennale esperienza aziendale nel controllo di gestione. Esperto di integrazione di sistemi HR e di gestione di sistemi di elaborazione paghe, vanta un consolidato know-how nella digitalizzazione dei processi della funzione risorse umane.