Il benchmark retributivo: come utilizzarlo in modo adeguato
Con il termine “benchmark” si intende in generale un parametro di confronto utile a definire la distanza tra una situazione, la nostra, e quella di un ambito simile al nostro, in funzione dell’oggetto con cui ci stiamo confrontando. Nel mondo delle retribuzioni, fare benchmarking significa, nello specifico, identificare il “prezzo” di mercato di una data professionalità e compararlo con la retribuzione di un lavoratore.
Perchè è utile confrontarsi con il mercato?
Il benchmark retributivo trova la sua utilità in svariati ambiti. Dal punto di vista del lavoratore, esso come detto rappresenta il metro con il quale confrontarsi con lavoratori che nel mercato ricoprono il medesimo ruolo. Il lavoratore può così capire se lo stipendio che percepisce è “giusto” rispetto agli altri (a parità di professione), se può essere più elevato di quello attuale, oppure se non può proprio lamentarsi del suo compenso.
Dal punto di vista dell’azienda l’utilità di questo metodo è invece molteplice e legata al tipo di esigenza o situazione, di breve o lungo periodo, che l’azienda si trova a dover affrontare: decidere per un aumento di stipendio, formalizzare un’offerta economica per una nuova assunzione, governare adeguatamente i costi del personale, costruire delle politiche retributive eque internamente e competitive verso il mercato, sono solo le principali applicazioni cui si presta l’utilizzo del benchmark retributivo.
Come stabilire la retribuzione di mercato “corretta”? il valore del lavoro
La necessità di un confronto con il mercato costringe a porsi una domanda fondamentale: cosa determina il valore retributivo di un lavoratore nel mercato? Sono tre i fattori principali che hanno un impatto in tal senso: gli aspetti contrattuali, le caratteristiche personali del lavoratore (età, titolo di studio o qualifica professionale conseguita, esperienza in azienda o nel proprio campo) e le caratteristiche dell’azienda in cui il lavoratore è impiegato, o meglio, il mercato con cui essa si confronta (in termini di settore, di collocazione geografica, di dimensione organizzativa ed economica).
Individuare il corretto “mercato di riferimento” è decisivo per un buon benchmark e di conseguenza per assumere le corrette decisioni a livello retributivo. Sbagliare mercato, infatti, potrebbe significare retribuire in modo inadeguato i key people e rischiare di perderli, oppure non riuscire ad assumere profili appetibili perché l’offerta non è adeguata (vale la pena di ricordare che secondo il Salary Satisfaction Report dell’Osservatorio JobPricing, la retribuzione fissa è l’elemento con maggiore impatto nella scelta di un posto di lavoro e primo motore di cambiamento per posto di lavoro stesso). Oltre a ciò, prendere a riferimento un mercato non corretto, potrebbe risultare pericoloso e portare a scelte di politica retributiva errate e inutilmente costose, come, per esempio retribuire eccessivamente figure fungibili, non strategiche o poco performanti.
Valore della persona e scelta di posizionamento
L’attività di benchmarking, come si è detto, consiste nel confrontare la retribuzione di un lavoratore con quella di mercato. Il mercato può essere valutato posizionando il lavoratore sopra o sotto la media di mercato; solitamente il mercato viene restituito, per un miglior confronto, con una curva retributiva, che riporta i valori della distribuzione ordinata delle retribuzioni associate a un ruolo nel mercato.
Il mercato rappresenta il “valore del lavoro”, ossia il suo “pricing” determinato dall’incontro fra domanda e offerta per quello specifica professionalità. Tuttavia, esso rappresenta solo una parte della questione: se si vuole individuare la retribuzione “corretta” per un nostro dipendente (e quindi capire dove vogliamo posizionarci sulla curva retributiva) dobbiamo introdurre due concetti.
Il primo di essi è il “valore della persona”; un lavoratore con elevata esperienza, punto di riferimento per i colleghi, con performance elevate, difficilmente sostituibile, presenta caratteristiche che potrebbero indurre il datore di lavoro a pagarlo di più rispetto al valore medio di mercato. Viceversa, un lavoratore junior o in ingresso nel ruolo, con un bagaglio di competenze non ancora adeguato o delle performance scarse potrebbe essere retribuito ai livelli più bassi della curva retributiva di riferimento. La determinazione della retribuzione “corretta” in termini individuali passa attraverso questa valutazione.
Il secondo è la “scelta di posizionamento”; l’azienda infatti, nella definizione delle proprie politiche retributive, è chiamata a scegliere un proprio posizionamento di mercato. Se l’azienda decidesse di puntare su una strategia focalizzata sul contenimento dei costi, per esempio, potrebbe essere disposta a pagare meno rispetto al mercato i propri dipendenti (o una parte di essi), accettando di dover gestire con ogni probabilità tassi di turnover elevati. Se invece l’azienda ritenesse di adottare una politica più competitiva rispetto al mercato a livello generale o per lo meno su parte della popolazione aziendale (per fare un esempio i middle manager, o le figure altamente professionali che devono essere protette, perché considerate il “futuro dell’azienda” e difficilmente sostituibili), allora potrebbe essere disposta a posizionare le retribuzioni nella fascia alta del mercato, accettando costi del personale maggiori.
Appare evidente, insomma, che la scelta di posizionamento deve necessariamente presentarsi come coerente con la strategia HR in generale ed essere funzionale alla sua realizzazione.
Vale la pensa sottolineare in proposito, come il mercato agisca su livelli ben diversi (e più elevati) rispetto ai minimi dei CCNL, che ai fini del posizionamento sono strumenti ormai poco rappresentativi: le logiche di gestione salariale sono dettate ormai più dalla contrattazione di secondo livello e soprattutto da quella individuale per una grande fetta di lavoratori nel mercato, senza considerare, poi, che un ampio spettro di professionalità non è necessariamente vincolato a un settore e conseguentemente al “suo” CCNL (si pensi, per esempio, ai ruoli delle funzioni di staff).
Perche’ il benchmarking è ancora poco diffuso?
Tutte le valutazioni effettuate sinora qualificano l’utilità di questo strumento, se ovviamente utilizzato in maniera corretta, anche in maniera forse un po’ scontata. Per la verità il mercato di casa nostra ancora oggi fatica a riconoscere nel benchmarking retributivo un’attività potenzialmente strategica.
Un numero molto elevato di aziende italiane ancora oggi stabilisce le retribuzioni dei propri dipendenti con criteri prevalentemente discrezionali, legati a elementi regolatori di contesto e non sistematiche e spesso si orienta in modo empirico in base all’esigenza del momento (devo assumere un dato profilo, cerco di raccogliere in quel momento le info che posso).
Le ragioni di questo ritardo sono in parte culturali: solo di recente nelle aziende medio-grandi e nelle PMI – che rappresentano il cuore dell’impresa italiana – iniziano ad affermarsi professionisti HR con competenze specifiche.
In aggiunta, fino a qualche anno fa non solo il numero di player professionali di questo mercato era ristretto essendo una nicchia molto specialistica, ma i costi erano spesso elevati e quindi poco sostenibili, in particolare per le PMI. Questa limitazione ha portato le aziende a fare benchmarking utilizzando informazioni tratte dai colloqui di lavoro effettuati, oppure ad affidarsi ad operatori quali società di ricerca e selezione del personale e consulenti del lavoro, le cui informazioni sono sì preziose, ma spesso limitate numericamente per essere adeguatamente rappresentative.
Infine, ma non meno importante, fino a pochi anni fa l’attività di benchmarking risultava non poco onerosa in termini organizzativi e quindi veniva approcciata con cautela.
Le fonti dati
La capacità di poter rappresentare tutto il mercato ed essere utilizzate da aziende di ogni tipologia è la vera sfida delle indagini retributive alla base del benchmarking. La metodologia di benchmark prevalentemente utilizzata in passato, di matrice anglosassone, era quella dei cosiddetti “peer group”: gruppi di aziende di un dato settore che consegnano i propri dati retributivi a società di consulenza, le quali “elaborano” il mercato retributivo e lo restituiscono ai partecipanti in forma anonima. Queste indagini sono spesso sviluppate in specifici ambiti settoriali, o legate a sole aziende con dimensioni rilevanti, o con focus solo sulle posizioni di vertice aziendale e manageriali.
Oggi fortunatamente si assiste a uno scenario in cui le indagini hanno preso forme ed estensioni diverse. Ai “peer group” molto più costosi e numericamente meno consistenti si è infatti affiancata una metodologia più moderna (adottata anche da JobPricing), in cui i dati vengono raccolti direttamente dai lavoratori attraverso web-survey. La raccolta via web ha permesso la realizzazione di indagini basate su un numero di dati raccolti elevato (garantendo quindi una maggiore valenza e significatività statistica), utilizzabili da aziende di qualsiasi tipologia, settore e dimensione per la trasversalità di informazioni raccolte, e in aggiunta a un costo più accessibile, anche grazie alla possibilità di fruizione tramite software web come JPAnalytics.
In proposito è fondamentale sottolineare un aspetto: in un mondo governato dal “bombardamento” di informazioni, anche con il benchmark non si scappa da un’attenta analisi delle fonti: scegliere quella migliore è strategico e non scontato soprattutto perché si potrebbe avere la tentazione di prendere in considerazione fonti non professionali (e non a caso gratuite), che spesso sono fuorvianti. In tal senso la “reputazione” del provider, la struttura dei dati forniti, la loro numerosità, la metodologia di raccolta e di definizione delle curve retributive, il supporto per la definizione del mercato di riferimento e per la lettura delle informazioni, sono i principali fattori da tenere in considerazione.
E' parte dello staff fin dalla fondazione della società. Vanta oltre 10 anni di esperienza nell’analisi dati in ambito retributivo. Attualmente è responsabile della gestione dei sistemi di analisi dati finalizzati all’analisi retributiva e al benchmarking.