RISORSE UMANE E TRASFORMAZIONE DIGITALE: UN PERCORSO APPENA INIZIATO
Nel corso dell’ultimo anno l’Osservatorio JobPricing ha condotto indagini che mostrano chiavi di lettura interessanti rispetto al ruolo dell’HR nell’era della “Digital Transformation”.
E’ evidente che l’applicazione delle tecnologie digitali porta con sé tre temi fondamentali: il primo è la progressiva messa in discussione delle strutture organizzative e dei modelli di organizzazione del lavoro tradizionali, il secondo attiene alla necessità delle imprese di dotarsi di competenze nuove e di gestire una trasformazione fondalmentalmente di tipo culturale, oltre che tecnologico, il terzo è l’effetto di questi cambiamenti sui processi di people management ed in particolare sulla valutazione delle prestazioni e sul rapporto capo collaboratore.
Partendo dai temi organizzativi, in collaborazione con ManagerItalia è stata condotta una survey relativa alla “punto di vista” dei manager rispetto all’introduzione dello “smart working”, che rappresenta uno dei fenomeni organizzativi di maggiore risonanza in tempi recenti. I risultati, al di là di una generale percezione positiva dello strumento, mettono in luce la consapevolezza, nel management delle aziende, della necessità per le aziende di lavorare più su tematiche culturali e “intangibili”, più che sugli strumenti e gli spazi di lavoro. In particolare, è interessante notare come, alla richiesta di indicare gli interventi necessari per l’adozione di modalità di lavoro agile, le tematiche indicate come più rilevanti siano capacità di lavorare per obiettivi, autoresponsabilizzazione, fiducia, delega, resistenza al cambiamento, mentre gli elementi più “hard” come il miglioramento dell’infrastruttura tecnologica e l’adeguamento degli spazi di lavoro sono relegati in posizioni di rincalzo.
Indica i 3 principali interventi che sono stati necessari, o riterresti necessari, per introdurre lo smart working nella tua azienda | % |
Diffusione della capacità di lavorare per obiettivi | 53% |
Potenziamento dell’auto-responsabilizzazione dei collaboratori | 44% |
Potenziamento della fiducia tra manager e collaboratori e viceversa | 37% |
Abbattimento della resistenza al cambiamento | 30% |
Miglioramento dell’infrastruttura informatica | 24% |
Introduzione di uno stile di leadership maggiormente delegante | 23% |
Aumento dell’allineamento dei manager/collaboratori con la strategia e i valori aziendali | 16% |
Introduzione di servizi che agevolino il rapporto fra tempo di lavoro e tempo privato | 15% |
Revisione degli orari lavorativi | 11% |
Incremento delle competenze digitali | 10% |
Introduzione/incremento di elementi di reward ad hoc (es. variabile qualitativo, ecc…) | 10% |
Nessuna, l’azienda è già pronta per lo Smart Working | 6% |
Accesso aperto alle informazioni aziendali | 5% |
Modifiche del layout degli spazi fisici | 5% |
Fonte: Osservatorio Manageriale Manageritalia
Anche analizzando le motivazioni che stanno alla base della scelta di adottare modalità di lavoro “intelligenti” da parte delle aziende, il focus sembra essere più collegato al tema dell’engagement e della cultura piuttosto che ai potenziali vantaggi di costo o di produttività.
Seleziona i 3 motivi principali per cui la tua azienda ha introdotto/dovrebbe introdurre lo Smart Working | % |
Sviluppare una cultura manageriale incentrata sulla responsabilità piuttosto che sul controllo | 71% |
Migliorare la soddisfazione del personale | 54% |
Garantire un miglior equilibrio tra vita privata e carriera professionale | 52% |
Ottimizzare/ridurre i costi (infrastrutture / immobili / trasporti) | 46% |
Incrementare la produttività | 33% |
Generare employer branding e attrarre potenziali talenti | 19% |
Diffondere una cultura digitale | 13% |
Salvaguardare l’ambiente | 5% |
Fonte: Osservatorio Manageriale Manageritalia
Ovviamente lo smart working è solo uno, e di sicuro nemmeno il più importante, dei fenomeni organizzativi in qualche modo collegati alla digital transformation, ma le risultanze della survey non lasciano spazio a dubbi: l’HR e più in generale il management è chiamato ad abbracciare per primo la rivoluzione in atto e stimolare un cambiamento della cultura organizzativa verso una maggiore responsabilizzazione degli individui nei confronti dei propri obiettivi professionali, prerequisito fondamentale per il successo di organizzazioni più snelle e caratterizzate da una minore possibilità di controllo diretto dei collaboratori.
In questo senso, il tema della valutazione della performance diventa centrale. I modelli classici di performance management sono da decenni oggetto di un acceso dibattito tra sostenitori e detrattori. L’affermarsi di modelli organizzativi più snelli e flessibili, caratterizzati da nuove modalità di esecuzione e controllo della prestazione spinte dalle tecnologie digitali, non può che accrescere la discussione circa le prassi di performance review in atto nelle imprese. A maggior ragione in un paese, come il nostro, che spesso sconta un certo ritardo nell’applicare metodologie gestionali più moderne. D’altra parte, al di là delle metodologie utilizzate, non credo si possa negare che valutare le prestazioni sia imprescindibile per la gestione delle imprese, e che interrogarsi su come adeguare i modelli di performance management per adattarli ai cambiamenti in atto sia in qualche modo inevitabile. Recentemente, l’Osservatorio JobPricing ha condotto un’indagine, in collaborazione con la Fondazione Marco Biagi, finalizzata proprio a fotografare lo stato dell’arte dei sistemi di performance management in atto nelle imprese italiane e ad analizzare le linee di sviluppo.
L’analisi delle risposte delle imprese, lette nel contesto della trasformazione digitale, pone in evidenza alcuni elementi interessanti. In primo luogo, volendo sintetizzare le risultanze relative ai criteri di valutazione delle prestazioni, buona parte delle aziende indica, in subordine al raggiungimento degli obiettivi e alle competenze espresse, ma in alto nella “classifica” come rilevanti l’esecuzione delle mansioni e la presenza/intensità della prestazione. Ora, è abbastanza evidente come questo tipo di criteri potrebbero risultare poco efficaci nel contesto delle trasformazioni in corso.
D’altra parte, un indicatore indiretto della adeguatezza dei sistemi di performance management al nuovo contesto è l’applicazione della tecnologia stessa al processo di valutazione. In questo senso le prassi in atto sembrano essere condotte con modalità ancora largamente “analogiche”, come si evince dal grafico di seguito, mentre si tratta di una attività che ben si potrebbe sposare (e migliorare) con l’utilizzo di tecnologie digitali, come alcune note esperienze (General Electrics e Deloitte, per citarne alcune) hanno già ampiamente dimostrato.
Un ultimo tema importante riguarda la visione delle imprese riguardo agli interventi da fare in futuro. L’analisi delle risposte non evidenzia in modo chiaro l’intenzione, da parte delle aziende, di ripensare in modo sostanziale le logiche di valutazione della prestazione per venire incontro a nuove esigenze organizzative, ma mostra, sebbene forse in embrione, alcuni elementi quali la necessità di migliorare la formazione dei manager, di aggiornare/modificare i KPIs, di muoversi verso una logica di continuous feedback e verso sistemi più semplici e immediati, che potrebbero essere segnali di una trasformazione in atto.
L’ultimo aspetto importante oggetto di indagine è alle professionalità e alle competenze “digitali”. L’estensiva applicazione della tecnologia digitale nelle aziende, oltre a richiedere lo sviluppo e l’arricchimento di competenze ”soft” quali creatività, pensiero critico e capacità di gestire il cambiamento, sta costringendo anche le aziende di dimensioni inferiori a dotarsi di professionalità specifiche del mondo ICT. L’analisi dei dati contenuti in una ricerca condotta lo scorso ottobre da JobPricing e Modis (società del gruppo Adecco specializzata in consulenza ICT) mostra come, a fronte di una notevole richiesta del mercato (+26% di richieste per anno, fonte Modis), sia notevole la carenza di competenze disponibili, in parte perché il sistema universitario non produce abbastanza neolaureati per soddisfare le esigenze del mercato, in parte perché le aziende non sono pronte a sviluppare internamente le professionalità necessarie. In questo contesto ci si potrebbe attendere una “impennata” del valore retributivo dei professionisti del mondo digitale. Al contrario, alquanto curiosamente, questa situazione non ha ancora riscontri nei rilievi empirici: i livelli retributivi medi, fatta eccezione per le aziende di consulenza ICT, si posizionano ancora ben al di sotto delle medie di mercato. Questo dato potrebbe fare pensare a un problema di tipo culturale: molte aziende italiane potrebbero forse non aver ancora compreso il potenziale impatto della digital transformation.
Nel contesto delle professioni ICT, uno degli obiettivi della ricerca citata era quello di dare un valore retributivo di riferimento alle competenze più rilevanti in ambito ICT.
Il grafico rappresenta il valore mediano delle competenze, cioè il valore retributivo di mercato di riferimento per i ruoli per i quali la competenza in questione risulta richiesta.
Come si vede, il mercato premia dal punto di vista retributivo le competenze nel campo della cybersecurity e della gestione dei database relazionali (RDBMS), mentre le competenze legate al cloud computing e ai cd. big data, di cui molto si è parlato in tempi recenti, sono ancora relativamente apprezzate in termini di retribuzione, segno probabilmente anche questo di una ancora limitata consapevolezza dell’impatto potenziale sui risultati aziendali.
In conclusione, nonostante i dati mostrino ancora un certo ritardo, anche nel contesto italiano la tecnologia digitale ha introdotto forti elementi di discontinuità nel modo in cui le imprese competono sui propri mercati, nel modo in cui si relazionano con i propri clienti e fornitori, e sta progressivamente inducendo una modifica delle strutture organizzative e dei processi di gestione delle persone, anche nelle imprese più piccole, che appare destinata a prendere una ulteriore accelerazione nel prossimo futuro. In questo scenario, il ruolo della funzione HR nell’accompagnare e stimolare il cambiamento e nel mettere a disposizione delle organizzazioni le competenze di cui necessitano per competere efficacemente rimane evidentemente strategico. Ma prima di tutto sono i professionisti dell’HR a dover acquisire la consapevolezza del loro ruolo di gestori del cambiamento e di garanti del lato umano della tecnologia.
Partner di JobPricing, approda alla consulenza dopo aver maturato una pluriennale esperienza aziendale nel controllo di gestione. Esperto di integrazione di sistemi HR e di gestione di sistemi di elaborazione paghe, vanta un consolidato know-how nella digitalizzazione dei processi della funzione risorse umane.