In principio è scoppiata la guerra dei bonus stellari dati ai manager di aziende in profondo rosso. Poi siamo arrivati ai tetti retributivi nel settore pubblico, parametrati allo stipendio del presidente della Repubblica (240mila euro annui). Adesso riparte la discussione dello stipendio di produttività, che sembra un toccasana e consiste nel trovare un nuovo mix tra stipendio fisso e stipendio variabile, legato ai risultati.
Se guardiamo alle potenzialità del tema e le confrontiamo con la fotografia della realtà in Italia, ci appare un deserto di idee e una grettezza simile a quella di Arpagone, l’Avaro di Molière. Sullo sfondo si staglia un appiattimento che avvolge tutto il sistema retributivo, la cui responsabilità non è da attribuirsi solo ai sindacati.
Le retribuzioni di produttività sono ancora ben poca cosa in Italia, dove lo stipendio fisso e di anzianità è la modalità preponderante. E anche se adesso il variabile viene definito la panacea per premiare il merito, le esperienze concrete inventate sino ad oggi non sembrano decollare. L’ultimo esempio è il Dpcm del 19 febbraio, entrato in Gazzetta ufficiale il 29 aprile e operativo da maggio, che prevede un incentivo per i cosiddetti premi di produttività. Le agevolazioni stabiliscono che la tassazione della parte di stipendio variabile legata ai risultati sia del 10%. Sicuramente la direzione di marcia è giusta, ma i limiti e i paletti imposti rischiano di renderla del tutto inefficace.
Infatti, da un lato viene introdotto un tetto massimo di reddito annuo dei lavoratori che possono beneficiare della tassazione agevolata, che è di 40mila euro, sempre meglio dei limiti precedenti (30-35mila euro), ma confinato a una fascia professionale diffusa ma con mansioni e ruoli più esecutivi che imprenditivi. Dall’altro lato, viene anche introdotto un massimale di importo agevolabile, che non può in ogni caso superare i 3mila euro l’anno (prima era di 2.500 euro, ma in passato si è arrivati anche a 6mila euro), una cifra davvero poco significativa e tale da renderne quasi irrilevante il decollo.
La morale a questo punto è una sola: lo stipendio variabile è una cosa seria, ma ci vuole più coraggio per non farlo diventare un’operetta da tre soldi.
– Walter Passerini –