I dati di ManagerItalia mostrano, è vero, un miglioramento. Ma ancora in tutto il mondo il numero di donne che lavorano è troppo più basso di quello degli uomini. Solo metà delle donne in età lavorativa lavora. Le donne sono più presenti nei lavori meno pagati e, comunque, sono meno pagate degli uomini per lo stesso lavoro…
A livello globale, il soffitto di cristallo continua ad esistere: le donne tendono infatti, ancora, ad essere bloccate nel cammino verso le posizioni di leadership, dove a volte il genere sembra contare più delle capacità. Infatti le donne costituiscono ancora solo il 5 per cento degli Amministratori Delegati di Fortune 500 e rappresentano solo il 24 per cento delle posizioni dirigenziali in tutto il mondo. Secondo uno studio svolto nel 2012 dalla Commissione Europea*, in Europa la probabilità per un uomo di assumere una determinata posizione manageriale è più che doppia rispetto a quella di una donna (60% vs 27%), e la probabilità che un uomo sieda in un board aziendale è 8 volte la probabilità che una donna arrivi alla stessa posizione (0.8% vs 0.1%).
Secondo alcuni studi sarebbero le stesse donne ad essere, almeno in parte, artefici del loro destino: le donne sarebbero infatti meno disposte a competere per ottenere un posto di lavoro che garantisca una remunerazione superiore e, comunque, meno sensibili agli incentivi puramente monetari; infatti tendono a occupare posti di lavoro che hanno in media retribuzioni inferiori. Nel nostro Paese in particolare sappiamo anche come i carenti servizi di supporto alla famiglia rendano quasi sempre la maternità un momento di scelta obbligata per una donna tra maternità e carriera.
Non vi sono prove statistiche di una correlazione lineare tra presenza di donne in posizioni di comando e performance aziendali. La questione è infatti dibattuta e potrebbe essere posta nei due sensi: è la presenza di donne che produce più performance o, viceversa, è la migliore performance che porta le aziende ad adottare politiche di sviluppo e di gender management? In ogni caso, qualunque sia il nesso causale, interessa sottolineare che se si guarda al valore del capitale rappresentato dalle donne, i dati parlano chiaro: è un capitale intellettuale (il 60% dei laureati europei è donna); un capitale professionale (il 45% degli impiegati in Europa è donna); un capitale motivazionale (l’83% delle impiegate di medio livello esprime forte desiderio di crescita nella propria o in altra azienda).
E’ certo allora che stiamo sprecando una grande risorsa. Magari, come dice lo studio di Ernst & Young, nel 2095 la parità tra i generi sarà raggiunta. Ma perché aspettare ben 80 anni per ottenere un risultato che potrebbe convenire già ora, subito, a tutti?
Come ha ricordato Christine Lagarde, Amministratore Delegato del Fmi, citando lo scrittore giapponese Raicho Hiratsuka: "In principio, la donna era il sole. Oggi più che mai, dopo molti anni di crisi, l'economia globale ha bisogno di questo sole che dia luce e nutrimento. Che dia la guarigione. Che asciughi le paludi della povertà e dei conflitti».
Marella Caramazza – Direttore Generale Fondazione ISTUD
* Impact assessment on costs and benefits of improving the gender balance in the boards of companies listed on stock Exchanges, E.C. Staff working document, 2012