La valutazione delle posizioni è stato uno degli strumenti fondamentali nella gestione manageriale delle risorse umane, a partire dagli anni sessanta nei quali in Italia si diffuse il modello delle 3 P – Posizioni, Prestazioni e Potenziale. La metodologia si affermò inizialmente nelle aziende a Partecipazione Statale. Successivamente si diffuse nelle medio-grandi aziende prevalentemente per la definizione delle politiche di nomina a dirigente e per la definizione delle politiche retributive verso ruoli manageriali.
I risultati dell’Indagine ‘L’ago della Bilancia’ (des Dorides C., Iacci P.) ci consentono di riflettere sull’uso che oggi se ne fa nell’ambito delle politiche HR. Esso è diffuso solo in circa la metà delle aziende del panel, in modo omogeneo fra aziende nazionali e multinazionali.
L’attenzione alle Posizioni è “prevalentemente” finalizzata all’impostazione della politica retributiva e dei benefit, e all’attribuzione dei livelli inquadramentali (Dirigenza e Categorie). Essa è “abbastanza” utilizzata per considerazioni organizzative di confronto delle posizioni, ed è “meno utilizzata” per orientare i sistemi di gestione delle Risorse Umane.
Il 90% delle aziende valuta solo le posizioni da dirigente, l’87% valuta il Middle Management a ridosso della dirigenza. La parte residua del Middle Management e Professional sono valutate in circa metà delle aziende del panel di riferimento.
La conoscenza della tecnologia della valutazione è ormai abbastanza consolidata nelle Direzioni del Personale. I fattori di valutazione più frequentemente utilizzati sono: know how, responsabilità sui risultati, ampiezza manageriale, complessità del contesto esterno e interno di riferimento, autonomia, problem solving. La metà delle aziende (56% delle multinazionali e 41% nazionali) usa lo strumento da più di cinque anni.
Indagini meno recenti, realizzate circa dieci anni fa avevano evidenziato la caduta di attenzione nei confronti della valutazione delle posizioni. I modelli culturali allora diffusi aiutano a comprenderne le ragioni: era l’epoca in cui si affermavano le strutture organizzative piatte, il taglio di molti livelli, emergevano nuovi ruoli d’integrazione come i project manager, i task leader e così via. Le aziende cominciavano ad avere meno risorse da investire sulla retribuzione fissa delle persone.
A fronte di questo “tsunami” nei paradigmi organizzativi e nelle politiche tradizionali di compensation, lo strumento che andò particolarmente in crisi fu proprio quello che s’incardinava maggiormente nelle configurazioni organizzative e nelle dinamiche d’investimento retributivo che allora venivano abbandonate. Come contraltare alla valutazione delle posizioni, si discusse molto all’epoca del “pay for competence”.
Il fatto che l’indagine condotta oggi – a dieci anni di distanza – dimostri che la valutazione delle posizioni sia sopravvissuta in un humus così poco favorevole non può non colpire. Pur non in florida salute, essa sembra aver superato la crisi e sia ricomparsa nella cassetta degli attrezzi HR. Colpisce anche il fatto che solo un’azienda su due (il 49% del campione) la utilizza. C’è da chiedersi, magari un po’ provocatoriamente, come faccia l’altro 50% delle aziende a gestire le proprie strutture retributive e le posizioni gerarchiche.
I risultati dell’indagine ci consentono di affermare che la valutazione tuttora non è vissuta come uno strumento utile ad affermare la cultura della responsabilità, e non è divenuta leva di cambiamento culturale in azienda, e questo fondamentalmente per tre motivi:
• le Linee sono coinvolte solo molto parzialmente nella valutazione delle posizioni. È poco frequente l’esistenza di Comitati Interfunzionali (solo nel 9% dei casi) nei quali si diffonde la cultura dell’importanza della responsabilità organizzativa, anche attraverso il confronto per la valutazione delle posizioni. Nel 50% dei casi la Linea è coinvolta esclusivamente nella valutazione della propria funzione-Area, nel 13% fornisce solo spiegazioni tecniche alla Direzione HR. In quasi un terzo dei casi (il 28%) le Linee sono consultate solo per acquisizione d’informazioni;
• la comunicazione della valutazione è prevalentemente verticale: ai Capi delle singole strutture esclusivamente per la loro struttura di riferimento (97% dei casi). Nel solo 3% dei casi la valutazione è comunicata anche ai valutati;
• una percentuale ridotta di aziende (il 28%) attua una sistematica manutenzione delle valutazioni (più volte o almeno una volta l’anno). Il 53% realizza revisioni non sistematiche, prevalentemente in coincidenza di riorganizzazioni. Per il 19% le revisioni hanno frequenza almeno biennale.
I Comitati interfunzionali di valutazione, che nell’epoca aurea delle valutazioni delle posizioni erano molto utilizzati, oggi non esistono quasi più. Questi erano invece un’occasione significativa per attivare un confronto nei vertici aziendali finalizzato a comprendere il valore dei diversi ruoli organizzativi, incluso il loro. Una non banale operazione di verità, che segnò un profondo cambiamento culturale di quelle aziende italiane che all’epoca erano incrostate di cultura burocratica, che automaticamente correlava responsabilità e gerarchia.
La mancanza di una manutenzione sistematica della valutazione delle posizioni conclude un quadro davvero non esaltante. E, non ultimo, a testimoniare lo stato «cagionevole» della valutazione delle posizioni, resta il suo essere circoscritta alle finalizzazioni più tradizionali e di base: l’attribuzione dei livelli di inquadramento (dirigenza e categorie), l’impostazione dell’architettura della politica retributiva con particolare riferimento alla retribuzione fissa e dei benefit.
Al di là dei risultati dell’Indagine l’esperienza professionale svolta presso molte aziende nazionali e multinazionali ci porta a guardare a tre aspetti della valutazione delle posizioni, ed a leggerli in correlazione ad alcune loro funzioni d’uso.
La descrizione dei ruoli, che ha molteplici utilizzi. E’ un momento conoscitivo di base per la valutazione dell’importanza dei ruoli. Consente di avere indicazioni per compiere diagnosi organizzative e migliorare e allineare la visione del management sul funzionamento dell’organizzazione. Può essere utilizzata come supporto per la valutazione delle prestazioni e per la gestione degli obiettivi.
Focalizzando in particolare l’attenzione su quest’ultimo utilizzo, è ormai evidente come le organizzazioni si affidino, nella gestione del loro pacchetto retributivo, al modello comunemente definito «three parts model» che monitora tre elementi della struttura retributiva:
• la componente della retribuzione fissa, che si basa sul riconoscimento dell’importanza del ruolo e sul premio alla performance e alla sua continuità nel tempo;
• la parte della retribuzione variabile di breve termine, che orienta i comportamenti sui risultati economico-finanziari e su performance operative, in conformità a obiettivi annuali, individuali e di gruppo, qualitativi e quantitativi;
• la componente della retribuzione variabile di medio-lungo termine che orienta i comportamenti su risultati e obiettivi strategici pluriennali.
Per la prima parte è immediata la correlazione con la valutazione delle posizioni; per la seconda e terza componente ha un peso significativo la descrizione delle posizioni che dovrebbe rendere esplicita e trasparente la correlazione fra attività, obiettivi, responsabilità, strategie e fattori chiave di successo.
Le caratteristiche intrinseche dei metodi di valutazione (fattori e metrica). È evidente come l’evoluzione in atto nelle organizzazioni stia radicalmente cambiando il concetto di carriera e di sviluppo. Accanto ai percorsi di carriera verticali, si affermano modelli di carriera più orizzontali, che si sostanziano in forme organizzative ridisegnate, flessibili e instabili. È quindi evidente come i tradizionali metodi di valutazione delle posizioni mal riescano a catturare e a seguire queste dinamiche organizzative. A questi aspetti organizzativi va inoltre anche aggiunto il cambiamento dell’orientamento al lavoro delle persone, con l’affermazione di modelli più professionali che gerarchici. Fare carriera oggi significa, per crescenti strati di popolazione lavorativa, potersi esprimere in ambienti di lavoro appassionanti, ad alta qualità sociale e umana.
È pertanto auspicabile che i metodi per la valutazione delle posizioni vadano riadattati, sia nelle metriche sia nei fattori di valutazione, per consentire di divenire uno strumento più coerente con le dinamiche che si registrano nelle organizzazioni soprattutto con riferimento alla Pianificazione dei percorsi di carriera.
Le politiche retributive e i driver del compensation. L’evoluzione delle organizzazioni è andata fatalmente a diminuire l’importanza del «peso della posizione» nella definizione dei livelli retributivi. Ma nei nuovi paradigmi quali sono i criteri con cui assegnare il driving nella gestione delle retribuzioni? Sicuramente ha un ruolo più importante che in passato la valutazione delle performance e della sua persistenza nel tempo. Hanno un ruolo importante anche stratificazione e sviluppo delle competenze delle persone, soprattutto se rare o strategiche o difficilmente replicabili e sviluppabili nel tempo. Anche le famiglie professionali di appartenenza possono essere utilizzate come elemento di differenziazione delle retribuzioni. Questo è sicuramente un terreno nel quale, a nostro avviso, le Direzioni Risorse Umane possono cimentarsi per migliorare la gestione delle aziende, contribuendo a risolvere rilevanti problemi del business.
Carlo des Dorides – esperto HR Brain Cooperation Centro Studi per lo sviluppo dei Contesti Organizzativi
Per approfondimenti sulle politiche retributive e sui sistemi di incentivazione della competitività delle aziende, vai a Compensation Practices.
Per un manuale pronto uso per la descrizione dei ruoli, vai al Manuale Organizzativo.
Consulente sui sistemi di gestione e di sviluppo delle risorse umane. Esperto in statistica ed economia, cura in particolare i temi del compensation e del rewarding. Dal 2009 è componente esterno del Comitato di Remunerazione della Sogin spa.