Si sentono dirigenti in pectore, abili tecnici, maestri di organizzazione, risolutori di problemi, ma spesso si sentono anche privi di identità. Alla ricerca del proprio ruolo, i quadri italiani (oltre 500mila nel solo settore privato) puntano sull’orgoglio di gruppo, stanchi di un sovraccarico di responsabilità poco riconosciuto ma desiderosi di contare di più. Uno spaccato eloquente emerge dalla ricerca realizzata dall’Istituto Quadrifor (ente di formazione del terziario) con Doxa sui quadri (un campione statistico di 1.067 unità), integrata con indagini qualitative, che esprime la voglia di uscire dalla cappa reale e psicologica di sette anni di crisi per aprirsi a una stagione di nuova progettualità.
Diagnosi. L’autocoscienza dei quadri è fortemente segnata da incertezza. La legge ne prevede il riconoscimento giuridico formale (190/1985), che li identifica come lavoratori subordinati, intermedi tra dirigenti e impiegati, che dipendono dall’imprenditore o dai dirigenti e che svolgono attività rilevanti per gli obiettivi dell’impresa. Il loro potere è di fatto immenso, spesso intrecciato però da un sottile malessere. L’età media è tra i 45 e i 46 anni; l’anzianità di ruolo sta tra i sei e i 19 anni (56%). Un dato è corrosivo: i soddisfatti sono il 46%, ma quattro quadri su dieci non si ritengono soddisfatti, e sono convinti che per migliorare la propria condizione professionale saranno costretti a cambiare azienda (33,4%) oppure stanno valutando la possibilità di proseguire con forme di lavoro autonomo (4,4%). E’ una domanda inevasa di maggior riconoscimento da parte delle imprese che produce insoddisfazione, che si traduce in un’autoanalisi di ruolo diversificata: il quadro è un ruolo di responsabilità con differenze molto sfumate rispetto a quelle del dirigente (40,6%); è un profilo che si gioca tutto su elevata esperienza e capacità tecnica (27,4%). Per il 10,7% quello del quadro non è un profilo tecnico ma piuttosto quello di un risolutore di problemi o di un integratore organizzativo (8,4%). E il 5,5% tiene a rimarcare la disponibilità del tempo: il quadro non guarda mai l’orologio.
Terapie. Se l’insoddisfazione si gioca su incerte possibilità di carriera (30,7%), una retribuzione inadeguata (30%), la difficoltà di influire sulle strategie aziendali (26,2%) e l’assenza/scarsità di riconoscimenti legati al raggiungimento di obiettivi di lavoro (21,6%), l’indagine di Quadrifor individua ambiziosamente le leve per la riscossa. La leva principale si chiama formazione: quella che si acquisisce con la riflessione sull’esperienza (44,7%), con un aggiornamento autonomo (39,3%) o attraverso corsi di formazione organizzati dall’azienda, dentro e fuori l’orario di lavoro (33%). Afferma Maria Luisa Coppa, presidente Ascom Torino e Vicepresidente Quadrifor: “In questo contesto si rileva, in confronto a 10 anni fa, l’elemento positivo dell’incremento del 30% circa del numero di quadri donne le quali, rispetto ai colleghi maschi, esprimono una domanda di formazione maggiormente orientata alla gestione del cambiamento, alla business collaboration ed alle competenze per cogliere le opportunità offerte dall’economia digitale “. “È qui che si gioca la capacità di innovare (prodotto/servizio, processo, organizzazione, mercato), sviluppare la motivazione dei collaboratori, analizzare gli scenari in un mondo complesso, sviluppare e gestire il lavoro in team – afferma Roberto Savini, direttore Quadrifor – La sfida più strategica di tutte riguarda il saper cogliere le opportunità offerte dall’economia digitale”. “La collaborazione tra impresa e università e le politiche in materia di formazione continua devono essere più efficaci – conclude Paolo Andreani, presidente Quadrifor – In questo quadro si collocano la missione e le attività dei fondi interprofessionali o della bilateralità. Migliorare competenze e conoscenze e le qualità professionali del middle management è oggi il nostro imperativo categorico”.
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