INDAGINI E VALUTAZIONI SUL CLIMA AZIENDALI: LE IMPLICAZIONI LEGALI
Il dibattito circa l’organizzazione del lavoro all’interno dell’azienda attualmente sta diventando sempre più di interesse e mostra come le aziende ruotino intorno a due tipologie di modelli ontologicamente differenti.
Da un lato, vi sono quei modelli che, utilizzando una terminologia di derivazione anglosassone, sono labour intensive: si tratta di modelli che, richiedendo lo svolgimento di prestazioni lavorative non particolarmente qualificate, fondano il loro successo sulla possibilità di assorbire numerosi e continui mutamenti dell’organico sfruttando l’enorme domanda di lavoro.
Dall’altro lato, vi sono invece modelli che sono caratterizzati dalla presenza di risorse con elevate competenze e che quindi tendono a superare il problema della valorizzazione della qualità del lavoro per porre maggiore attenzione al problema della qualità della vita lavorativa. Tale aspetto appare quanto più significativo nella misura in cui emergono nuove teorie socio-economiche che collegano l’incremento della produttività aziendale ad indici quali la qualità del clima aziendale, la possibilità di poter definire un chiaro processo di crescita all’interno dell’azienda, la possibilità di incidere sui successi aziendali e, conseguentemente, beneficiare degli effetti di tali successi in termini retributivi.
All’interno di questo dibattito, l’interesse del legislatore è stato, da un lato, quello di individuare e fissare regole che evitino abusi (i.e. sfruttamento delle risorse lavorative con riconoscimento di sempre meno diritti e con retribuzioni assai contenute) e, dall’altro lato, quello di promuovere politiche di sostegno che favoriscano una maggiore qualità della vita aziendale: si consideri, ad esempio, la normativa in tema di welfare aziendale (cfr. articolo “I contratti collettivi e l’opzione welfare”).
In ogni caso, indipendentemente dalla tipologia di modello organizzativo adottato, ciascun datore di lavoro è interessato a comprendere quali possono essere le problematiche che caratterizzano l’operato del proprio organico e sempre più spesso, per cercare di intercettare informazioni al riguardo, vengono avviate, mediante società che svolgono tale tipologia di consulenza, vere e proprie di sessioni di verifica utilizzando differenti strumenti.
In questa sede ci interessa affrontare le possibili implicazioni di carattere legale in merito alle possibili attività di verifica del clima aziendale da parte del datore di lavoro.
Il primo livello di verifica è senza dubbio rappresentato dai questionari (o metodologie simili) anonimi. Normalmente tali questionari sono costruiti secondo il sistema del multiple choice evitando la possibilità di fornire risposte libere in quanto l’eventuale compilazione a mano del documento potrebbe non garantire più l’anonimato del suo compilatore.
Tale tipologia di rilevazione è senza dubbio utile per avere un quadro generale della situazione aziendale (e potrebbe anche migliorare il clima aziendale e l’engagement del personale che si sentirebbe parte di una realtà in grado di ascoltare e verificare la soddisfazione di tutto l’organico) ma non permette una piena comprensione dei problemi che più specificatamente affliggono l’azienda o singoli dipartimenti della stessa.
Da un punto di vista giuridico, tale processo non presenta particolari problematiche in quanto, essendo completamente anonimo, non presenta né problematiche di carattere di tutela della riservatezza dei dati personali né altre problematiche di carattere giuslavoristico.
Per cercare di avere riscontri più precisi, un’altra metodologia di verifica del clima aziendale viene attuata mediante l’introduzione di incontri di counselling periodici organizzati per verificare la performance del singolo dipendenti. In tali occasioni, accade sempre più spesso che vengano fatte valutazioni anche in merito all’andamento delle dinamiche interpersonali all’interno del reparto in cui è inserito il lavoratore e le eventuali problematiche insorte in tale reparto. Tale modalità presenta un livello di accuratezza maggiore rispetto alla prima tipologia di rilevazione (soprattutto se si tratta di segnalazioni di problemi tra pari livello o rispetto a lavoratori con inquadramenti inferiori) ma mantengono specifiche problematiche sotto il profilo legale. Infatti occorre comprendere se e come è possibile trattare tali dati (non prima di aver verificato la loro attendibilità).
Da un punto di vista di tutela della riservatezza dei dati personali, si crede che tale tipologia di verifica del clima aziendale possa essere operata solo con le persone che, a vario titolo, rivestono un ruolo sovraordinato rispetto al resto del personale assegnato a ogni singolo reparto. A tali individui, infatti, proprio in virtù del loro ruolo, può essere attribuita la funzione di responsabile o d’incaricato dei trattamenti dei dati personali ai sensi del D.Lgs. 196/2003 e ciò li autorizza a trattare anche i dati che riguardano gli altri addetti al singolo reparto e/o alla singola squadra.
Ma anche se è ammesso il trattamento dei dati ricavati dai singoli intervistati, l’altro problema riguarda la possibilità di porre in essere azioni (anche solo correttive e non necessariamente disciplinari) rispetto alle problematiche segnalate. Infatti, la sola legittimità di trattamento dei dati non potrebbe risultare sufficiente a far sì che tali informazioni possano costituire il fondamento per l’adozione di specifiche decisioni. A questo riguardo si è cercato di introdurre specifici regolamenti aziendali o addirittura stipulare accordi di carattere sindacale di secondo livello con i quali viene proceduralizzata l’acquisizione delle informazioni sul clima aziendale e sulla loro utilizzabilità al fine di porre in essere azioni positive.
Tuttavia, tali documenti, essendo frutto di un necessario compromesso tra opposti interessi, spesso non hanno rappresentato un’efficace strumento per i datori di lavoro: infatti, se era preminente la tutela della riservatezza delle persone che segnalavano specifiche problematiche appariva assai complicato avviare azioni volte a risolvere tali problemi. Dall’altro lato, se era possibile procedere con azioni incisive sull’organizzazione aziendale a scapito della riservatezza delle persone che segnalavano i problemi, ciò dissuadeva molti dipendenti a segnalare problemi (soprattutto quando le segnalazioni riguardavano loro superiori o comunque manager aziendali).
Proprio partendo da tali considerazioni, recentemente il legislatore è intervenuto con la legge 30 novembre 2017, n. 179 in materia di whistleblowing. Tale legge, che riguarda il personale sia del settore pubblico sia di quello privato, ha come obiettivo principale quello di garantire una tutela adeguata ai lavoratori che segnalano al responsabile a ciò preposto comportamento non in linea con i regolamenti aziendali, con la normativa o con le norme del comune vivere civile.
Tale normativa prevede che il lavoratore che ha presentato la denuncia non possa essere soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro. Inoltre la legge garantisce la segretezza dell’identità (e, quindi, non l’anonimato) del denunciante che, non potrà, per nessun motivo, essere rivelata.
Tale procedura di whistleblowing è sicuramente uno strumento efficace ma è anche limitato in quanto introduce garanzie solo nei confronti di coloro che segnalano comportamenti non corretti rispetto agli obblighi contrattualmente assunti mentre il concetto di clima aziendale (e le conseguenti problematiche) è ben più ampio. Tuttavia, già sapere che vi sono specifici organi aziendali preposti a verificare eventuali scorrettezze, potrebbe aiutare a migliorare il clima aziendale.
È importante segnalare che tale strumento, per essere effettivo, deve essere inserito all’interno dei modelli di organizzazione e di gestione dell’ente ai sensi del D. Lgs. 231/2001 e dovrà prevedere la formulazione di adeguate policy che disciplinino l’intero processo e l’individuazione di persone (che dovranno ricevere adeguata formazione) che costituiranno l’ufficio preposto alla ricezione di tali segnalazioni. Inoltre, come previsto dalla normativa, occorrerà prevedere specifiche regole per evitare abusi (qualificando tali condotte rilevanti sotto il profilo disciplinare).
L'avv. Mattia Lettieri è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2001 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2016. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’Avv. Francesco Tanca lo Studio Lettieri & Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.