ANALISI DI CLIMA: ISTRUZIONI PER L’USO
Ci riferiamo all’analisi di clima come a quel tipo di indagine che secondo differenti approcci e metodologie, viene utilizzato per misurare il livello di soddisfazione e di partecipazione attiva (il c.d. engagement) delle risorse umane in un’organizzazione. Normalmente si tratta di questionari (rigorosamente anonimi) che analizzano svariate dimensioni inerenti i contenuti del lavoro, le relazioni coi colleghi, il rapporto con i capi, i sistemi di valutazione del personale, il rapporto fra valori dell’organizzazione e identità individuale, il rapporto fra tempo privato e tempo di lavoro, etc.
Quale che sia la chiave di lettura utilizzata, lo scopo in ultima istanza è sempre quello di comprendere che cosa “ingaggia” i lavoratori e che cosa no. Infatti, come noto fin dai tempi dagli studi di Maslow e McCleland sulla motivazione e come confermato più di recente dal filone delle neuroscienze e dell’economica comportamentale, la disponibilità degli individui a spendersi per un obiettivo e per l’azienda, l’engagement appunto, è funzione, molto più che di incentivi estrinseci (la retribuzione in primo luogo), delle risposte ai bisogni di riconoscimento e di autorealizzazione che l’organizzazione sa offrire ai suoi membri. È la soddisfazione di tali bisogni, infatti, che consente di ottenere dalle persone non soltanto “conformismo” alle regole dell’organizzazione, ma una reale partecipazione attiva, che porta, mediante la collaborazione, a moltiplicare energie, capacità di problem solving, competenze e che crea quindi le condizioni per il raggiungimento di obbiettivi sempre più sfidanti.
Ecco perché la domanda sullo stato dell’arte del clima aziendale è una domanda tanto cruciale, quanto troppo spesso sottovalutata. Volendo utilizzare una metafora, si tratta di capire quanta energia potenziale c’è dentro l’organizzazione e quanto quest’ultima sia in grado di sfruttarla.
Non solo. Molto spesso si tratta di una domanda che le aziende volutamente eludono e non senza motivo. Conoscere il “pensiero” dei propri dipendenti rispetto a temi quali l’equità interna, la meritocrazia, il rapporto dei capi con i collaboratori, etc., da una parte può portare a galla “relitti” che si preferiva tenere sul fondale, lontano dalla vista; dall’altra, rischia di produrre effetti molto negativi, se poi la direzione aziendale, sulla base delle evidenze dell’analisi di clima, non è disponibile ad affrontare realmente le aree di miglioramento emerse. In questo senso, la nota massima di Seneca per cui “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” risulta molto calzante quando si parla di questo tipo di indagine.
In proposito è bene sottolineare che ogni analisi di clima condotta in azienda, a prescindere da quelli che ne siano i risultati, ha un primo fondamentale effetto: lanciando un progetto di questo genere si comunicano (anche implicitamente) due cose, che l’engagement delle persone è una risorsa preziosa e che il loro contributo al miglioramento delle condizioni di lavoro è importante. È inevitabile, di conseguenza, che il lancio stesso del progetto generi delle aspettative di un follow-up, che, se disattese, potranno paradossalmente tradursi in un peggioramento del clima aziendale.
Effettuare un’indagine di clima, insomma, non è un’attività che possa essere presa alla leggera, eppure ciò non toglie che il valore aggiunto di questo strumento sia altissimo per quelle organizzazioni che ne fanno un uso corretto: è pacifico che a miglioramenti nell’engagement corrispondano, fra l’altro, incrementi della produttività, riduzione del tasso di assenteismo ed abbassamento del turnover del personale.
Nella nostra esperienza consulenziale di svariati anni nella progettazione, somministrazione e gestione di analisi di clima abbiamo imparato che ci sono almeno 4 precauzioni fondamentali da prendere:
1. L’ANALISI DI CLIMA NON È SEMPLICEMENTE UNO STRUMENTO DIAGNOSTICO, ma la parte preliminare di una più ampia attività di presidio e di miglioramento del livello di engagement del personale: fate l’analisi di clima se e solo se siete disponibili ad accettarne i risultati e a fare seguire le azioni che servono.
2. IL COINVOLGIMENTO DELLE VOSTRE PERSONE NON DOVREBBE ESSERE LIMITATO ALLA FASE DI ANALISI, ma proseguire nella fase di definizione del piano di azione (lo strumento dei c.d. focus group è in questo senso molto efficace).
3. Un buon clima aziendale senz’altro rende la vostra organizzazione più attraente nel mercato, ma l’analisi di clima ed i suoi risultati non hanno come obbiettivo l’employer branding. Il loro scopo è quello di contribuire ad accrescere il livello di soddisfazione, di partecipazione e di motivazione del personale: FOCALIZZATEVI SU QUELLO CHE I DATI “DICONO”, NON SU QUELLO CHE “DOVREBBERO DIRE”.
4. Se l’engagement delle vostre persone è la fonte di energia della vostra azienda, allora misurarlo non dovrebbe essere un’attività una tantum. Non occorre reiterare l’indagine ogni anno – anche per dar modo alle azioni che avete implementato di dispiegare i loro effetti – ma LO “STATO DELL’ARTE” ANDREBBE PERIODICAMENTE VALUTATO E NE DOVREBBERO SCATURIRE PIANI D’INTERVENTO NEL TEMPO, SECONDO UN APPROCCIO DI MIGLIORAMENTO CONTINUO.
Volendo sintetizzare ulteriormente quanto sopra, si può concludere che l’errore più grande e da evitare senz’altro quando si parla di analisi di clima è quello di pensare di poterla mettere in un cassetto una volta fatta.
È CEO di JobPricing da giugno 2016 e segue inoltre in prima persona progetti di consulenza in ambito Total Reward, Performance Management e Leadership. Vanta una precedente esperienza di oltre quindici anni come HR & Manager e HR Director in contesti multinazionali, sia nel settore dei servizi che nell’industria.