Le politiche retributive nelle professioni digitali
Paghiamo le competenze, non il ruolo
Storicamente le società specializzate che si occupano di indagini e analisi retributive hanno “mappato” il mercato sulla base dei ruoli: l’obbiettivo è sempre stato quello di dare un riferimento rispetto alla retribuzione di una specifica professionalità, raffinandola poi in base a parametri di mercato quali dimensione aziendale, territorialità, studi, esperienza, etc. In Italia tale approccio si è poi ulteriormente incrociato col sistema di classificazione contrattuale, al punto che non di rado i benchmark di mercato sono diventati punti di riferimento non solo per la retribuzione, ma anche per l’inquadramento, nel tentativo di rendere coerente
Basta confrontare le retribuzioni di mercato con quello dei CCNL per uno specifico ruolo, però, per rendersi conto che esiste ormai una frattura in termini di coerenza, una frattura che si accrescere all’aumentare del livello di professionalità: mercato e contratti dicono cose diverse. Tale fenomeno, tuttavia, si sta manifestando sempre di più anche per i livelli più bassi delle organizzazioni, soprattutto in contesti in cui sono ampiamente utilizzati i c.d. “knowledge workers”, primo su tutti il mondo del “digitale”.
A titolo di esempio nell’immagine viene mostrato il settore chimico
Il punto è che l’economia della conoscenza valorizza il “sapere” piuttosto che il “ruolo” e, di conseguenza, è molto difficile leggere le retribuzioni secondo una lente di sola matrice organizzativa (quale lavoro, da quanto tempo, in quale contesto). Ergo, per quanto tecnicamente complicato, anche la lettura del mercato retributivo dovrebbe dotarsi di strumenti che valorizzino maggiormente gli aspetti di competenze.
Molto significativa in tal senso è un’analisi condotta lo scorso anno dalla quale, incrociando il valore retributivo di mercato di determinate professionalità e il livello di competenza necessario per quei ruoli, è stato possibile identificare il range retributivo su alcune competenze particolarmente rilevanti (cfr. grafico sottostante)
Simili analisi oltre che rilevanti per le strategie retributive e il posizionamento dei datori di lavoro, sono evidentemente interessanti anche per i lavoratori: l’orientamento professionale e la riqualificazione (per altro tema assai dibattuto di recente), infatti, potranno essere meglio indirizzati nella misura in cui seguiranno la richiesta di competenze e il valore economico che il mercato riconosce loro.
Oltre a questo aspetto, però, esiste una questione più ampia, che riguarda una cultura del lavoro che si trasforma velocemente.
La retribuzione intangibile
Che la retribuzione sia un fattore “igienico” e non “motivante” lo abbiamo detto più volte anche noi di JobPricing da queste pagine e in vari convegni, tuttavia, questa verità assume un peso sempre più grande. L’approccio alla remunerazione – come ad esempio dimostrano i dati del SALARY SATISFATCION REPORT 2019 – non può più limitarsi ai soli elementi tangibili (retribuzione monetaria e welfare), ma, per andare incontro a ciò che più motiva i lavoratori, deve ampliare il suo raggio agli aspetti intangibili, primi su tutti lo sviluppo delle competenze e professionale e l’ambiente di lavoro generalmente inteso, quale combinazione di relazioni fra colleghi, modello di leadership e work-life balance.
La remunerazione, quindi, per quanto concerne i knowledge workers e i profili digitali in particolare sta diventando sempre più intangibile da un lato e dall’altro la richiesta è di una sempre più forte personalizzazione, agganciata in primo luogo a due fattori: l’equità e la performance. Come si vede nella tabella sottostante, infatti, c’è forte correlazione fra soddisfazione per la retribuzione e percezione di equità da un lato e rapporto con la performance (e quindi col merito) dall’altro. Per i lavoratori, cioè, il tema è quello di regole di accesso e pari possibilità, ma poi è diffusa e condivisa l’idea che chi lavora meglio abbia di più, anche a parità di ruolo. Non a caso la soddisfazione per la retribuzione è nettamente maggiore in presenza di sistemi di incentivazioni, che siano di breve o lungo termine, monetari o non.
Si tratta di una sfida non banale per i datori di lavoro, per le organizzazioni sindacali, poiché oggi il rischio è quello di leggere una realtà nuova attraverso lenti vecchie e sfuocate. Di certo, i sistemi retributivi stanno già evolvendo verso una modalità trainata dai criteri del “pay for performance” e del “pay for competence”, per cui la questione è ormai solo se tale processo sarà governato oppure no.
Partner di JobPricing, approda alla consulenza dopo aver maturato una pluriennale esperienza aziendale nel controllo di gestione. Esperto di integrazione di sistemi HR e di gestione di sistemi di elaborazione paghe, vanta un consolidato know-how nella digitalizzazione dei processi della funzione risorse umane.