Quando si pensa al total rewarding si considera di solito la somma della retribuzione annua lorda (RAL), del Bonus (o MBO o Variabile) e a volte del benefit auto. L’insieme dei due primi elementi va a costituire la RTA che è oggetto di confronto nelle analisi retributive. La realtà però è molto più complessa e non sempre questa complessità viene considerata, valorizzata e soprattutto gestita in maniera strategica. Propongo in queste brevi righe alcune riflessioni nate dalla pratica.
Le categorie o strumenti del total rewarding, oltre alla retribuzione fissa ed al bonus, sono molteplici:
• benefit legati alla mobilità e trasporti (non solo company car ma anche abbonamenti ai mezzi di trasporto, politiche di rimborso viaggi, programmi di car sharing ecc.);
• instant reward e viaggi incentive o altre forme di una tantum o premi one shot legati a performance di breve periodo, ricorrenze ecc.;
• patti di stabilità, non concorrenza, fedeltà (associati sempre ad un concetto di retention giuridico);
• benefit legati alla salute del dipendente e del nucleo familiare o di tipo assicurativo (polizze integrative, programmi di fitness e sportivi);
• stock option, long term incentive, polizze vita o sistemi di pensione integrativi (associati sempre ad un concetto di retention finanziario);
• benefit legati alla location dell’azienda (es. parcheggi riservati, ristorante aziendale e servizi alla persona) o legati alla location del dipendente (foresteria, home allowance, utenze ecc.);
• formazione (programmi formativi importanti o qualificazioni professionali/linguistiche che aggiungano valore e prestigio al CV del dipendente);
• strumenti ed ambiente di lavoro particolarmente evoluti e di status (es. i-pad e smartphone, laptop, politiche di smart working ecc.);
Rientrano tra gli strumenti di rewarding in generale altri molteplici benefit riconducibili al concetto di welfare, che oggi in Italia sta subendo una positiva ed importante evoluzione, ma che rischiano di essere gestiti a caso e senza il riconoscimento da parte del collaboratore di una vera utilità marginale positiva (nice to have). Possono esserci naturalmente anche altre categorie di strumenti di rewarding, tanto è vero che negli USA, che storicamente hanno una maggiore flessibilità e fantasia su questi strumenti, si parla di cafetarian plan (menù a la carte…). Non va dimenticato il cosiddetto “rewarding morale”, che non tratterò in questo articolo, limitandomi a dire che è insostituibile e rientra appieno nell’esercizio della leadership.
Una differenza importante del contesto italiano rispetto a quelli esteri è che, mentre in Italia l’adeguamento all’inflazione viene svolto dai Contratti Nazionali, all’estero – in mancanza di questi ultimi – le aziende adeguano annualmente i salari (1/2 %) e poi gestiscono in aggiunta la meritocrazia (una persona molto performante e da trattenere riceverà il 5 o il 6%, una poco performante l’1 o il 2%, o addirittura nulla nei casi più gravi).
Nell’usare i vari strumenti di rewarding, come pure nel progettare una politica aziendale, ci sono alcune regole importanti da rispettare:
• i vari strumenti non devono per forza essere usati tutti e soprattutto non vanno sovrapposti in relazione allo scopo che si prefiggono;
• vanno personalizzati in base a cluster di appartenenza (giovani ed anziani, single e famiglie, “delfini” e “massaie”, ecc.);
• vanno gestiti in chiave strategica per creare engagement e tradursi in performance coerenti con la strategia aziendale (o quantomeno bisogna porsi il tema di individuare KPI idonei e fattori di coerenza);
• devono essere coerenti ai valori ed alla carta di identità dell’impresa e non obbedire a “mode” o “capricci individuali”;
• devono sempre contenere due elementi, difficili da mettere insieme ma necessari, dell’EQUITÀ percepita e della SELETTIVITÀ meritocratica;
Ma, soprattutto, gli strumenti di rewarding vanno progettati e gestiti con un MIX equilibrato e ragionato in base alle esigenze ed alla strategia aziendale. Il peggio che si possa fare in queste situazioni è seguire il caso o le prassi consolidate copiando altre aziende in maniera acritica e senza basarsi su solide fondamenta. Nella migliore delle ipotesi si sprecheranno risorse preziose, nella peggiore si spenderanno inutilmente dei soldi lasciando per giunta le persone indifferenti o (addirittura) deluse ed arrabbiate.
Alcuni esempi classici di uso improprio dei sistemi di rewarding:
• aumenti di trascurabile entità (meno di 50 euro al mese lordi) dati con intervallo temporale ampio (più di 24 mesi) distribuiti a pioggia senza lettera di encomio, in maniera anonima e burocratica, da un soggetto diverso dal Capo diretto in un contesto (ad es. industriale) di grande impegno, sforzo fisico /o perizia tecnica o pratica. In questi casi si buttano via dei soldi ed anzi si ottiene l’effetto contrario di deludere ed alienare le persone;
• posizionamenti di RAL sul terzo quartile o addirittura sul nono decile del mercato per persone la cui fungibilità professionale sia molto alta nell’azienda o nel contesto di riferimento (es. strapagare un venditore seppur bravo in un contesto dove, sia all’interno dell’azienda che sul mercato del lavoro, sia abbastanza facile procurarsi figure analoghe);
• benefit “imposti” senza porsi il tema dell’importanza e della rilevanza per i destinatari e senza alternative valide (colonie estive e libri scolastici sono ottimi per chi ha famiglia o figli ma per chi non li ha non devono essere l’unica alternativa).
Una corretta politica di total rewarding deve anche considerare i temi di costo del lavoro ed in particolare l’impatto sull’anno successivo in termini di trascinamento costi, e quindi è necessario pensare bene ai momenti dell’anno in cui si erogano gli interventi. Il tempo di erogazione, del resto, è un aspetto vitale per ottimizzare l’impatto sulle persone (l’esempio classico è quello degli instant rewarding che vanno erogati subito dopo l’evento da premiare altrimenti perdono molto della loro utilità).
Due importanti aspetti da considerare nelle politiche di total rewarding sono costituiti dall’effetto retention degli interventi e dalla variabilità che portano nel contratto di lavoro e vanno attentamente gestiti e considerati. Se un benefit importante scade e non viene sostituito, la persona subirà un contraccolpo importante e riceverà un messaggio molto chiaro dall’azienda, anche se questa scadenza era programmata e prevista contrattualmente. L’importante è che il mancato rinnovo sia consapevole e che le conseguenze siano volute dall’azienda (pensiamo ad esempio alla scadenza di un patto di stabilità o di non concorrenza gestito in ritardo o male e le sue conseguenze). In positivo invece un pacchetto di benefit e di retribuzione variabile e di istituti di lungo termine può scoraggiare il dipendente e la sua famiglia a valutare delle diverse proposte da altre aziende che non offrano soluzioni analoghe o migliori, ma che possano essere in continuità con le attuali (ad esempio l’iscrizione dei figli ad una scuola prestigiosa).
Purtroppo per la maggioranza degli strumenti di total rewarding si sconta anche un fenomeno di banalizzazione (nice to have) che trasforma nel tempo costose politiche di benefit in una sorta di “prerequisiti” che vengono dati per scontati dai dipendenti. Per evitare questo, bisogna sempre mantenere viva la discrezionalità degli strumenti, che però è avversata dalle Organizzazioni Sindacali che vogliono invece riconoscere a tutti, allo stesso modo, determinati interventi o benefit, indipendentemente dalla performance.
Un altro modo per scongiurare l’effetto assuefazione è quello di rinnovare periodicamente le politiche di rewarding e di chiedere alle persone se li apprezzano o meno.
Un ulteriore passo fondamentale, e da curare molto bene, è ovviamente quello comunicativo (marketing interno) dove deve essere sempre mantenuta una coerenza, la trasparenza (tutta quella possibile), e nel fare ciò naturalmente è fondamentale avere ben chiaro l’EVP (Employer Value Proposition), che non si esprime solo all’esterno dell’azienda nelle politiche di employer branding, ma anche (e vorrei dire soprattutto) all’interno dell’azienda.
Per concludere vorrei sottolineare come una politica di total rewarding, come pure una EVP, ci sia comunque nelle aziende, anche se non progettata e voluta consapevolmente, e che le conseguenze di una sua cattiva gestione possono essere disastrose in relazione alla motivazione e alla fedeltà dei collaboratori, mentre – viceversa – una gestione consapevole e ben fatta può fare davvero la differenza in un’impresa che voglia affermarsi nel difficile e veloce contesto competitivo globale.
Luigi Torlai
Direttore Risorse Umane Ducati Motor Holding S.p.A.
Recruiting, Personal International fo Audi AG