Già da alcuni anni è in corso in Italia il tentativo, anche a livello legislativo, di favorire e promuovere una maggior diffusione della contrattazione collettiva aziendale o “di secondo livello” (ossia, com’è noto, quella stipulabile direttamente dalle imprese datrici di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali), così promuovendo il superamento del tradizionale primato della contrattazione collettiva nazionale di categoria nell’essere delegata dal legislatore ad occuparsi di determinati aspetti del rapporto di lavoro in luogo e/o in deroga della stessa legge.
Tale tentativo sta passando, principalmente, da due strade: dall’estensione dell’efficacia dei contratti collettivi aziendali al maggior numero di lavoratori possibili nelle imprese che li stipulano e dall’ampliamento del campo di intervento di tale tipologia di contratti collettivi.
Sotto il primo profilo, la più forte spinta allo sviluppo della contrattazione collettiva aziendale è certamente giunta, negli ultimi anni, dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011 e dall’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 (denominato “Testo Unico sulla Rappresentanza") tra Confindustria e le organizzazione sindacali confederali Cgil, Cisl e Uil (accordo che recepisce e dà attuazione ai contenuti dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo del 31/5/2013, oltre ad aggiornare i contenuti dell'accordo interconfederale sulle rappresentanze sindacali unitarie del 20 dicembre 1993).
In particolare, il citato intervento legislativo, anche mediante il rinvio al summenzionato accordo interconfederale del 2011, ha previsto che i contratti collettivi aziendali siano efficaci nei confronti di tutti i dipendenti dell’azienda (quindi anche nei confronti di coloro che non risultano iscritti ad alcun sindacato ovvero siano dissenzienti) a condizione che:
(i) siano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011;
(ii) sia salvaguardato il principio maggioritario all’interno dell’azienda.
L’aspetto di particolare interesse di tale intervento normativo è poi rafforzato dal fatto che nello stesso, da un lato, viene consentito alla contrattazione collettiva l’intervento in molteplici materie (tanto che qualcuno ha avanzato sul punto dubbi di costituzionalità) e, dall’altro, è previsto che le parti contraenti possano anche derogare alle previsioni di legge e di contratto collettivo, indipendentemente dal fatto che vi sia una preesistente delega espressa da parte della legge o della contrattazione collettiva nazionale.
In particolare, secondo la disposizione di legge in questione, i contratti aziendali possono riguardare “la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell'orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”.
Ciò detto, va ricordato che il legislatore ha comunque messo un freno alla totale deregulation escludendo espressamente dalle materie di contrattazione aziendale le discipline riguardanti “il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento”.
In questo contesto va collocato il successivo Decreto Legislativo n. 81/2015 (emesso, com’è noto, in attuazione del c.d. Jobs Act ed avente ad oggetto “la disciplina organica dei contratti di lavoro”, nonché la “revisione della normativa in materia di mansioni”) con il quale il legislatore, pur non intervenendo nuovamente sul tema dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali, ha dato un’ulteriore spinta all’ampliamento del campo di intervento della contrattazione di secondo livello.
Nel citato Decreto Legislativo, infatti, si prevede che imprese datrici di lavoro e rappresentanze sindacali aziendali (ossia le Rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19 della L. 300/1970 o le Rappresentanze sindacali unitarie) possano modificare, stipulando contratti collettivi aziendali, molte delle regole con cui vengono disciplinate le varie tipologie di contratto di lavoro disciplinate nel predetto Decreto Legislativo.
Proprio al fine di aumentare lo “spazio di azione” della contrattazione collettiva aziendale, il legislatore ha espressamente previsto, all’art. 51 del predetto Decreto, che, “salvo diversa previsione”, ai fini del citato provvedimento legislativo, “per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Ciò detto, è importante far rilevare che gli interventi della contrattazione collettiva, anche aziendale, previsti dal D.Lgs. n. 81/2015, possono riguardare plurimi e rilevanti aspetti del rapporto di lavoro, ivi inclusi aspetti che mai prima erano stati oggetto di libera disponibilità da parte delle imprese datrici di lavoro e delle relative rappresentanze sindacali aziendali. A titolo esemplificativo, sono da segnalare tra le più rilevanti materie rientranti nella “disponibilità” della contrattazione collettiva aziendale ai sensi del citato Decreto Legislativo:
– le regole di gestione del contratto di lavoro a tempo parziale, ivi incluse quelle relative al lavoro supplementare ed alle clausole elastiche (ossia le clausole che possono modificare la collocazione oraria e la durata della prestazione dei lavoratori con orario part-time), nonché (sempre nei rapporti di lavoro a tempo parziale) la modulazione della durata del periodo di prova, del preavviso in caso di licenziamento o dimissioni, nonché del periodo di comporto;
– l’ammontare dell’indennità di disponibilità nel contratto intermittente;
– la durata massima del contratto di lavoro a tempo determinato, la durata minima degli intervalli tra contratti a tempo determinato intercorrenti tra le medesime parti, nonché la percentuale massima di rapporti di lavoro a tempo determinato intrattenibili in contemporanea dal datore di lavoro in proporzione ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato (e i periodi di esenzione del rispetto di tale percentuale per l’avvio di nuove attività);
– la percentuale massima di lavoratori somministrati utilizzabili in contemporanea dal datore di lavoro in proporzione ai lavoratori diretti.
– il diritto di precedenza nelle assunzioni di lavoratori che hanno già intrattenuto rapporti di lavoro a tempo determinato con il datore di lavoro e i presupposti di tale diritto.
Già solo con questi esempi, è evidente il notevole ampliamento del campo d’azione della contrattazione collettiva aziendale messo in atto dal legislatore, tuttavia, tale chiaro orientamento legislativo è ulteriormente dimostrato anche dalla valorizzazione della contrattazione collettiva aziendale in relazione alla c.d. Opzione Welfare (cfr. I contratti collettivi e l’opzione welfare), mediante forme di incentivazione fiscale e contributiva, nonché dagli esempi già esistenti nel mondo del lavoro di contratti collettivi aziendali in materia di “lavoro agile” (il c.d. smart working la cui prima regolamentazione legislativa entrerà a breve in vigore con il c.d. “Jobs Act del lavoro autonomo”) che regolano tale innovativa tipologia di lavoro in modo sistematico (prevedendone, ad esempio: la definizione, i criteri, la modalità di accesso, la disciplina del recesso, le modalità di svolgimento, i trattamenti retributivi, etc.).
In conclusione, è da ritenersi che il futuro sviluppo della contrattazione collettiva aziendale in Italia non potrà che avvenire, da un lato, mediante il rafforzamento dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi di secondo livello (anche in relazione a materie ulteriori rispetto a quelle annoverate nel citato art. 8 del D.L. n. 138/2011) e, dall’altro, mediante forme di incentivazione sul costo del lavoro come quelle già sperimentate per l’opzione welfare.
Avv. Vincenzo Casella
Lettieri & Tanca – Labour Lawyers
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