Lo stile di leadership manageriale occidentale, seppur diversamente interpretato a seconda delle diverse culture organizzative, ha comunque denominatori comuni ormai ampiamente consolidati e assimilati. Da quando la cultura aziendale occidentale ha iniziato a “esportare” managerialità e modelli organizzativi, le modalità sono quasi sempre state “top-down” o al limite di opportunismo relazionale. Da tempo invece i mercati emersi sono diventati non più un luogo per produrre ma un luogo per consumare. E soprattutto, ormai, dettano le regole del gioco e vanno (e vengono!) a comprare e quindi a gestire asset, aziende e marchi ovunque.
Nella migliore delle ipotesi, pertanto, i rapporti manageriali sono oggi peer2peer non solo con quei manager non occidentali che però si sono formati nelle grandi business school anglosassoni, bensì con colleghi e sempre di più con capi che si sono formati all’estero e sono poi tornati in patria, portatori di una carriera evoluta tutta all’interno del loro medesimo ambiente originario, che ora è un modello aziendale vincente.
Oggi il manager europeo deve espatriare per sviluppare la propria carriera manageriale andando a gestire funzioni o mercati non abituali, in un ambiente non abituale e con capi e colleghi di cultura manageriale con radici profondamente differenti. Il manager occidentale che cerca fortuna nei paesi emersi deve quindi attuare strategie di leadership style sensibilmente differenti e con strumenti rivisitati della cassetta degli attrezzi di management. I mondi manageriali si sono ormai duplicati rispetto a un originario modello anglosassone ed è sempre più facile incontrare modelli e processi aziendali molto simili ma dove persistono diverse interpretazioni di cultura e comportamenti organizzativi, con differenze ancora rilevanti.
Comprendere queste differenze, valorizzare i punti di forza delle proprie soft skill manageriali e identificare la più corretta sovrapposizione personale con le diverse opportunità nelle varie regioni ormai emerse è un obiettivo fondamentale per la nuova generazione di manager globali che vogliano cogliere opportunità internazionali.
FARE IL MANAGER IN CINA
Eric Tarchoune di PraxiAlliance China da oltre 20 anni, sottolinea che il talent shortage, ovvero la mancanza e quindi la “guerra” per i talenti annunciata ormai molti anni fa in Occidente, è la prima emergenza oggi per gli hr manager locali, più dell’aumento del costo del lavoro e del turnover di personale: ovvero per 41 milioni di aziende private! La competizione per portare a bordo manager non è più solo delle grandi multinazionali presenti in loco ma delle moltissime grandi (medie per loro, grandissime per noi) aziende private, e 90 sono tra le prime 500 di Fortune. Ed è un’esigenza ormai persino delle aziende di stato cinesi. È un problema di competizione (innovazione, creatività) e di produttività (un indice mediamente basso in Cina) generalmente risolvibile da un buon middle management che invece ancora manca in quasi tutte le funzioni e famiglie professionali aziendali. Da qui la necessità di importare manager (non top manager dato che quelli locali ci sono ormai) con adeguate esperienze professionali, background formativo, conoscenza delle lingue occidentali e skill manageriali e di co-leadership. Non più però capi ma, al massimo, “pari”.
Le alte aspettative salariali degli expat alimentate dal recente passato non sono più possibili. Ma sempre più per i manager occidentali l’obiettivo non è espatriare per fare carriera ma per continuare a fare carriera o addirittura per mantenere un adeguato livello professionale che si rischia di perdere qui.
Le skill manageriali che devono essere declinate dal manager occidentale si possono riassumere in:
– risk management: assumersi rischi, prendere decisioni, intraprendere iniziative;
– creatività: avere la vision, costruire il messaggio;
– ispirare: esercitare la leadership situazionale (ovvero integrandosi con l’ambiente), costruire il team condividendo;
– comunicare: essere sicuri che il proprio messaggio arrivi.
Tra le problematiche personali che un manager occidentale deve affrontare troviamo il riconoscimento della centralità storica e oggi anche economica della Cina, un sentimento molto forte espresso dal management cinese. Gestire le relazioni e le apparenze formali, la “faccia” come si dice in Cina: rispettare le gerarchie, gli anziani (confucianesimo…) e le apparenze. Creare un network consapevoli del proprio posizionamento all’interno dello stesso e scalare le relazioni consapevoli della forza della guan xi, dei legami interpersonali. Gestire la competizione tra “pari” anche all’esterno delle interazioni professionali (famiglia, auto, casa…). Infine, mantenere sempre elevati i propri obiettivi.
Quali sono quindi i temi organizzativi solo apparentemente soft da affrontare?
Comunicazione: un forte elemento di discontinuità con il recente passato è dato dagli aspetti di comunicazione linguistica. Prima ci si aspettava che i professional locali imparassero perlomeno a parlare in inglese. Oggi è il manager che vuole (o deve) operare in Cina che non può non interagire anche managerialmente nella lingua locale, come persino il fondatore di Facebook ha recentemente dimostrato. Alla corretta comunicazione linguistica si sovrappone però anche la problematica di far arrivare il messaggio manageriale. La principale problematica ancora oggi per il manager occidentale in Cina è “come posso essere certo di aver trasferito il progetto nei suoi target e task? come posso essere certo che i collaboratori locali eseguano correttamente quello che mi aspetto?”. Durante i team meeting ci possono essere domande di controllo, ma generalmente sembra che tutti abbiano compreso, salvo verificare il contrario quando il progetto avanza o dovrebbe essere quasi al termine.
Problem solving: le dinamiche di individuazione, gestione e risoluzione dei problemi sono ancora sensibilmente differenti. Spesso i problemi vengono dimenticati o risolti in maniera non razionalmente prevedibile dai modelli organizzativi occidentali.
Reimpatrio: un lungo periodo in Cina può comportare problemi di rientro e riadattamento manageriale. Le esperienze effettuate potrebbero essere sottovalutate da chi ancora pensa alla Cina come hub produttivo e non come mercato sia di consumo che di interazione. In caso di successo e carriera in Cina, difficilmente si potrà avere lo stesso status al rientro, a differenza dei primi manager pionieri di ormai qualche decade fa.
Il paradosso dunque è che la Cina appare oggi ai manager occidentali molto meno distante, difficile ma pur sempre l’eldorado di qualche anno fa, perché oggi giustamente si considerano le difficoltà del necessario totale ambientamento (mentre prima si viveva solo il periodo di distacco entro lo stabilimento o la community in attesa del rientro) proprio quando le opportunità locali sono più reali e numerose.
Persino le multinazionali teutoniche, dice Klaus Schlagheck di Praxi Alliance Germany, devono prepararsi ad avere propri manager interagenti con manager cinesi decision maker. Nel prossimo futuro potrebbe essere addirittura necessario assumere in Europa manager cinesi con esperienza mista, piuttosto che mandare manager tedeschi in Cina, per coltivare meglio le relazioni soprattutto nel perdurare delle evidenti politiche di ritorsione/restrizione/regolazione che il nazionalismo (sentimento sempre alimentato in Cina) comporta rispetto alle dinamiche del business.
FARE IL MANAGER IN INDIA
Lo scenario in India presenta alcune similitudini con la Cina, afferma Sonia Singh di Praxi Alliance India. Sono presenti grandi imprese di Stato, grandi multinazionali, ma anche moltissime grandi aziende private con una famiglia imprenditoriale originaria. Aziende che assumono moltissimo e che hanno esigenze forti di managerialità middle e senior. E nelle quali spesso la specifica cultura ed etnia della famiglia proprietaria guida il modello organizzativo.
Nel recente passato le skill manageriali fondamentali da declinare coincidevano con l’omogeneità culturale, la similitudine di lingua e il forte senso di appartenenza e lealtà aziendale. Questi criteri venivano usati nella scelta dei manager da parte degli imprenditori, con le posizioni top ancora appannaggio dei membri della famiglia imprenditoriale. Le cose stanno sensibilmente cambiando, ma ancora persiste il mito che nelle multinazionali sia più facile fare carriera. In realtà le imprese familiari molto grandi e internazionali necessitano di middle e senior management in misura simile e con modelli di stile manageriale sempre più simili. Le grandi aziende multinazionali ricercano il matching culturale con la casa madre, quindi assumono manager locali che abbiano intrapreso un percorso formativo occidentale, prevalentemente anglosassone.
Lo stile di gestione manageriale tra le multinazionali e le (pur grandi) aziende indiane imprenditoriali è ancora così diverso in certe zone da creare quasi due “silos” distinti di profili manageriali. In parte questo accade anche in Europa e ovviamente in Italia. Ed è una considerazione importante da tenere presente per il manager Sud europeo, che potrebbe trovare delle similitudini di stile gestionale nelle grandi aziende imprenditoriali indiane familiari.
Rispetto al modello centralizzato tipicamente cinese, in India i processi di decision making aziendale si possono considerare generalmente più rapidi in queste grandi realtà imprenditoriali, anche rispetto alle multinazionali presenti che devono abitualmente seguire procedure standard e quindi spesso rispondono più lentamente alle esigenze dei mercati. Quindi le soft skill manageriali relative alle capacità di decisione e all’orientamento ai risultati, invece che ai processi, possono essere particolarmente apprezzate in queste organizzazioni che stanno crescendo e necessitano di management internazionale.
Infine è da ricordare che in India la business community (e non solo) ha un tradizionale utilizzo della lingua inglese che abbatte i problemi di comunicazione, anche se ovviamente permangono quelli di introspezione culturale dei comportamenti organizzativi, che possono cambiare da regione a regione.
La disponibilità di talent e leadership manageriale indiana è sicuramente superiore a quella cinese sia in qualità che in abbondanza e reperibilità, nonostante le dimensioni del business siano complessivamente inferiori. La drone mentality, ovvero l’agire meccanicamente come un robot all’interno di un’organizzazione, non è pervadente in India. Al contrario i professional tendono a seguire i percorsi meno battuti e usare la propria ingegnosità per declinare il problem solving operativo. Si crea così spesso un sovraccarico di creatività e minor processing organizzativo che spesso crea problemi al manager occidentale abituato a lavorare per procedure standard.
Così come in Cina, lo status manageriale è fondamentale per moltissimi professional, molto attenti al proprio “ego” manageriale. Spesso le multinazionali, anche quelle europee, fanno ricorso a due differenti titoli manageriali, uno a uso interno e uno a uso esterno.
FARE IL MANAGER IN BRASILE
Per noi italiani sembra esserci qualche possibilità di sovrapposizione culturale sul mercato brasiliano dove, come segnala Ana Paula Zacharias di Praxi Alliance Brazil, i manager locali sono veloci nell’adattarsi ai differenti tipi di cultura organizzativa, considerando l’abitudine marcata al multiculturalismo sociale e una certa predisposizione al multitasking.
L’influenza dei modelli manageriali americani è molto forte, molto orientato ai risultati e in misura superiore alla media dello stile brasiliano: operando in contesti misti ci sono quindi difficoltà ma anche opportunità da cogliere in tal senso per i manager europei.
Da non sottovalutare anche le differenze geografiche, sociali e culturali interne nella declinazione del proprio ambientamento in Brasile, non solo quelle professionali e sull’ambiente di lavoro. Un piccolo plus per il manager italiano mediamente ben predisposto sull’intelligenza emotiva.
Fabio Ciarapica – Consigliere di Amministrazione di Praxi S.p.A e Managing Director di Praxi Alliance Ltd.
Lavora nel campo della ricerca e selezione di figure executive a livello internazionale, consolidando competenze nello sviluppo del capitale umano, nell'executive auditing, HR governance & development, nella gestione del cambiamento, dei talenti e della performance e nel design organizzativo.