Un mercato appiattito, basato su automatismi e anzianità, che frena la contrattazione e che non riesce più a premiare competenze e talenti. Uno stipendio prevalentemente fisso, che lascia poco spazio al variabile e ai premi di risultato. E così tre dipendenti su quattro hanno una retribuzione compresa tra 18 mila e 34 mila euro. Solo l’8,5% dei lavoratori percepisce una retribuzione annua lorda superiore ai 46 mila euro.
E’ la radiografia impietosa quella scattata dal JP Salary Outlook 2015, un rapporto che si basa su 66 mila profili di lavoratori dipendenti di aziende private, che hanno compilato il questionario di JobPricing sul web e che rappresentano un mondo del lavoro tumultuoso e popolato ancora da forse troppe tipologie contrattuali (clicca qui per scaricare gratuitamente il rapporto completo). Queste le classifiche per categoria.
Un lavoratore dipendente in Italia, nel 2014, ha percepito una Ral (retribuzione annua lorda) media di 28.977 euro. Un dato in linea con quanto rileva l’Ocse, che piazza il nostro paese in nona posizione tra i paesi della zona euro. Un lussemburghese ha toccato quasi 53 mila euro, un tedesco più di 45 mila, uno spagnolo poco più di 26 mila, uno slovacco 10 mila. E si tratta di valori virtuali e solo sfiorati ma subito sfioriti, dal momento che passando dal lordo al netto, chi più e chi meno, ha subìto una bella tosatura. Le medie lorde di categoria sono altrettanto eloquenti: hanno raggiunto i 107.021 euro lordi i dirigenti; 53.914 euro i quadri; 31.122 euro gli impiegati e 23.913 euro gli operai. Un dirigente ha una retribuzione lorda annua che è quattro volte quella di un operaio. Passando dal lordo al netto le differenze si assottigliano: su 13 mensilità di stipendio, un operaio guadagna mediamente 1.327 euro netti al mese, un impiegato 1.660, un quadro 2.553 e un dirigente 4.257 euro netti al mese, cioè 3,2 volte un operaio.
Fin qui i dati di stipendio fisso, che è una voce preponderante, a cui si aggiunge una retribuzione variabile che viene erogata in base alle prestazioni dell’azienda, dell’individuo o di un gruppo. Per la verità nel pantano degli stipendi il variabile non rivela particolare vitalità. Per ogni 100 euro guadagnati da un lavoratore dipendente, mediamente 98 sono riconducibili alla quota fissa, mentre solo 2 euro sono invece quota variabile, frutto del raggiungimento di obiettivi aziendali o individuali. Per qualifica, questi 2 euro medi diventano 9,80 per i dirigenti, 4,50 per i quadri, poco più di 1 euro per impiegati e operai. Viene da sorridere quando in Italia si parla di stipendi di risultato o di produttività, che praticamente non esistono. La ricerca conferma che in Italia il lavoro complessivamente è pagato poco e in modo appiattito. Quasi la metà dei lavoratori è compresa nella fascia retributiva tra i 22 mila e i 30 mila euro; il 75% è compreso tra 18mila e 34 mila euro. Solo l’1,2% ha uno stipendio superiore ai 100 mila euro. Tra il dirigente che prende di più e l’operaio che prende di meno ci sono 11,2 stipendi di differenza al mese.
Infine, il rapporto ci racconta che a essere pagati di più e meglio sono i lavoratori del nord, rispetto al centro e al sud; i lavoratori delle grandi imprese rispetto alle piccole e medie; i lavoratori maschi rispetto alle donne, che non hanno ancora vinto il gender gap. Tra i settori i meglio pagati sono i servizi finanziari, le utility e le industrie di processo; meno pagati industria manifatturiera, commercio, edilizia e agricoltura.