L’Italia avrebbe bisogno di coesione sociale, vale a dire di fiducia e cooperazione tra i cittadini e tra gli stessi e le istituzioni, tra lavoratori e datori di lavoro, tra società civile e decisori politici, tra le sue differenti aree territoriali. Nei fatti noi italiani siamo, invece, tutti, consapevolmente o meno, dichiaratamente o tacitamente, l’uno contro l’altro, l’uno impegnato a scaricare sull’altro la responsabilità di ciò che non va. Dalla somma di questi contrasti viene fuori il Paese sfilacciato in cui viviamo, che sembra riporre ogni aspettativa nella rassegnata quanto cautamente speranzosa frase “adda passà ‘a nuttata” (deve passare la nottata) pronunciata da Edoardo De Filippo al termine della sua indimenticabile “Napoli milionaria”.
Purtroppo la nottata ha origini lontane e sta durando per un tempo oltremodo lungo; da ciò la necessità di immaginare delle azioni che rischiarino l’orizzonte. E qui viene il bello o il brutto che dir si voglia, perché i più pensano che tutto debba essere risolto dall’alto, da uno o più uomini e/o donne che, in virtù dei loro poteri, laici o divini che siano, sappiano e vogliano portare la luce. Niente di male, ma non può bastare, perché se dal basso non accade qualcosa di dirompente è molto improbabile che la Provvidenza possa darci un aiuto efficace. L’espressione dal basso nella nostra storia recente e lontana evoca movimenti di massa, piazze e cortei di popolo che protesta, impreca e rivendica, ma quella storia è datata e oggi rischia di non produrre alcun apprezzabile effetto. Dovremmo provare a sperimentare un diverso dal basso, che punti sulla responsabilità e sul dovere, sulla collaborazione anziché sullo scontro.
Un buon inizio potrebbe ben essere una svolta cooperativa nel mondo del lavoro, inteso nell’insieme di chi lo presta, di chi lo vuol prestare e ne è impedito, di chi lo può dare, di chi l’organizza; almeno tre decine di milioni di cittadini e cittadine mobilitabili. Un Paese, la Germania, di cui talvolta parliamo a proposito, più spesso a sproposito, nel momento più difficile della sua rinascita, dopo una sconfitta bellica rovinosa, accantonò il conflitto di classe e sposò la linea della cogestione; due lustri fa, ad opera di un Cancelliere nientemeno socialista, quando i suoi conti non tornavano, ebbe il coraggio di praticare da sola in Europa una dura linea di austerità, modificando il welfare, le leggi e i contratti di lavoro in cambio di forte sostegno alla crescita economica e all’occupazione, di maggiori spese nella ricerca e di più mirati investimenti pubblici.
Forse anche in Italia è giunto il momento di sperimentare la cogestione tra capitale e lavoro, di modificare le regole, di abbandonare le tutele sociali passive a vantaggio di quelle attive che responsabilizzino tutti i percettori interni o esterni al sistema del lavoro, di individuare percorsi inclusivi anche a costo della riduzione di qualche diritto acquisito, di costruire in tutta la penisola progetti comuni che vincolino imprese e lavoratori, di impegnare più risorse nella ricerca e nell’innovazione di quante se ne impegnino nella costruzione di strade poderali o in opere faraoniche.
E’ evidente che una strada siffatta implica la scelta morale da parte del capitale e di chi l’organizza a rendere trasparente il suo apporto, da un lato, in termini di investimenti dei profitti e di riduzione sostanziosa di scandalosi emolumenti, da un altro, di assunzione diretta e personale degli insuccessi. Una svolta del genere è praticabile da subito. Basterebbe un confronto serio e senza arroccamenti ideologici tra e i soggetti sociali di rappresentanza del capitale e del lavoro. Non verrebbe meno la necessità di leggi e decreti di riforme di accompagnamento, dalla sburocratizzazione delle procedure amministrative all’alleggerimento fiscale. E però un forte segnale di discontinuità della parte più attiva del Paese farebbe da freno alle resistenze corporative e da volano su scelte politiche veloci e coraggiose, sulle aspettative sociali interne, sulla credibilità italiana a livello internazionale.
– Enzo Mattina –
Presidente di FonTemp e Vicepresidente di Quanta
E’ stato segretario generale della Federazione lavoratori metalmeccanici, segretario confederale della Uil ed europarlamentare. Da deputato nella legislatura 1994/1996 ha elaborato e sottoscritto con Gino Giugni la prima proposta di legge per l’introduzione del lavoro temporaneo tramite Agenzia nell’ordinamento italiano.