L’esperienza di molti anni al servizio di una delle principali realtà italiane nel campo della somministrazione di manodopera ha mostrato che la crescita della domanda di questa particolare forma di lavoro c.d. flessibile è dipesa dall’atteggiamento del legislatore che, guardando con sempre meno sospetto questa tipologia di contratto, ne ha via via semplificato l’utilizzo.
In questa direzione si colloca il c.d. Jobs Act che certamente contribuisce a rilanciare l’istituto, eliminando in particolare il principio della causalità del ricorso alla somministrazione, le cui incertezze interpretative avevano determinato la gran parte del contenzioso in tema di somministrazione.
È noto che il legislatore del 2015 ha voluto attuare una generale riforma dei contratti di lavoro, dedicandosi anzitutto al contratto subordinato a tempo indeterminato per renderlo competitivo, con l’introduzione di una forte flessibilità in uscita.
Sbaglierebbe però chi pensasse che la flessibilità introdotta per i contratti a tempo indeterminato (e determinato) si ponga in automatica concorrenza con i rapporti in regime di somministrazione, in quanto la scelta tra le diverse forme di rapporto non può (o non può più) essere determinata solo da ragioni di pura flessibilità in uscita.
Al contrario, la decisione di ricorrere alla somministrazione si giustifica in termini di flessibilità c.d. organizzativa e gestionale (soprattutto se le APL sono in grado di offrire servizi aggiuntivi in termini di gestione della carriera e formazione dei lavoratori) e pertanto esige un datore di lavoro maturo e consapevole dei propri obiettivi e degli strumenti per raggiungerli.
Detto quindi che il principale cambiamento riguarda l’eliminazione delle causali del ricorso alla somministrazione, oggi per entrambe le tipologie di somministrazione l’unico limite reale è solo di tipo quantitativo.
Se per la somministrazione a tempo determinato il limite è rimesso esclusivamente alla contrattazione collettiva, per lo staff leasing viene stabilito per legge, mutuandolo dalla disciplina del contratto a termine, nella misura del 20% dell’organico al 1 gennaio dell’anno di instaurazione del rapporto. Anche in questo caso, tuttavia il limite legale può essere derogato dalla contrattazione collettiva.
Sul punto è importante notare che il legislatore, in forte discontinuità rispetto al passato, ha dato rilievo sia alla contrattazione territoriale che a quella aziendale che dunque potrebbe derogare anche in peius non solo il limite di legge ma anche la fonte collettiva nazionale, valorizzando quindi la contrattazione collettiva di prossimità più vicina alle imprese e ai lavoratori (c.d. di prossimità).
Venendo in particolare alla somministrazione a termine le principali differenze con il contratto a termine sono oggi rappresentate da:
(i) limite quantitativo (c.d. clausola di contingentamento) può essere fissato solo a livello di contrattazione collettiva. Sicché, in assenza di contrattazione applicabile non vi sono limiti, diversamente dal contratto a termine dove, comunque, opera il limite legale del 20%. Anche se la violazione del limite nel caso della somministrazione conduce alla costituzione del rapporto con l’utilizzatore mentre nel caso del contratto a termine non comporta la conversione del contratto ma solo una sanzione amministrativa. Inoltre, anche le ipotesi in cui non operano mai i limiti quantitativi sono più larghe per la somministrazione a termine: tra gli altri sono ricompresi i lavoratori c.d. svantaggiati quali ad. es. i giovani con meno di 25 anni che abbiano completato il ciclo formativo da più di due anni ma ancora privi di impiego retribuito regolarmente ovvero lavoratori adulti che vivano soli con uno o più figli a carico.
(ii) limiti temporali: non si applica il limite legale dei 36 mesi nonché i limiti al numero delle proroghe e agli intervalli obbligatori. L’unico limite al numero delle proroghe può essere fissato dalla contrattazione collettiva applicabile al somministratore (attualmente 6 volte nell’arco di 36 mesi). Inoltre è stato chiarito dal ministero che al termine dei 36 mesi, il lavoratore precedentemente assunto a termine può continuare ad essere utilizzato con un contratto di somministrazione a termine.
Quanto al c.d. staff leasing, eliminati i vincoli derivanti dalla tipologia di attività e di settore, oggi è possibile per qualsiasi esigenza e per qualsiasi mansione, salvo appunto il già citato limite quantitativo.
In questo modo, lo staff leasing appare uno strumento più competitivo e sicuro rispetto all’utilizzo, magari azzardato, del contratto di appalto c.d. labour intensive, per soddisfare le esigenze di flessibilità sottese ai processi di outsourcing, mantenendo contemporaneamente il controllo del processo produttivo. Se nel contratto di appalto, infatti, è maggiore il rischio che le concrete modalità di svolgimento del rapporto conducano alla costituzione di un rapporto con l’utilizzatore, nella somministrazione a tempo indeterminato i lavoratori per quanto sottoposti al potere direttivo dell’utilizzatore non sono computati nell’organico.
Inoltre la cessazione della somministrazione non comporta per la APL l’avvio della procedura di mobilità anche se il numero dei lavoratori coinvolti lo esigerebbe, ma semplicemente il licenziamento individuale.
Infine, va ricordato che nel Jobs Act si è data compiuto riconoscimento alla possibilità di ricorrere alla somministrazione di apprendisti, purché ciò avvenga nell’ambito di una somministrazione a tempo indeterminato.
Avv. Francesco Tanca
Lettieri & Tanca – Labour Lawyers
L'avv. Francesco Tanca è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2000 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2013. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’avv. Mattia Lettieri lo Studio Lettieri&Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.