SMART WORKING, UN CASO EMPIRICO: LA SURVEY DELL’OSSERVATORIO MANAGERIALE
LA SURVEY DELL’OSSERVATORIO MANAGERIALE
La survey | L’Osservatorio manageriale composto da Manageritalia, CFMT e JobPricing in qualità di partner tecnico, ha realizzato ad ottobre 2017 una survey denominata “Smart working: la visione manageriale” con l’obiettivo di comprendere le percezioni, le opinioni e l’approccio dei manager italiani sul tema smart working, in qualità di promotori e fautori del cambiamento all’interno delle organizzazioni.
I risultati | Tra le evidenze emerse, i manager esplicitano il bisogno di un cambiamento culturale, che porti all’autoresponsabilizzazione dei collaboratori. I rispondenti si dimostrano consapevoli che le organizzazioni devono modificare il loro modo di gestire il lavoro, quindi affrontare un vero e proprio cambio di cultura, a partire dai vertici di cui loro stessi fanno parte; questo sottolinea che i manager non sentono il pericolo di perdere il controllo sui collaboratori, ma anzi evidenziano la necessità, per un’efficace implementazione del lavoro agile, di un potenziamento della capacità dei collaboratori di lavorare per obiettivi.
Tra gli altri argomenti indagati, emerge che il concetto di smart working secondo i manager intervistati può essere declinato in più aspetti che afferiscono a molteplici tematiche e che hanno impatti molto diversi sia sull’organizzazione che sul lavoro manageriale: non sembra esistere una direzione univoca nel definire il fenomeno smart working, ma esso viene declinato dai manager a seconda delle loro differenti esperienze. La rappresentazione mentale dei manager rispetto al tema smart working è estremamente legata a logiche di natura professionale ed organizzativa, quindi ad elementi più intangibili; questo avviene a discapito di elementi più tangibili come la modifica/introduzione di nuovi strumenti di lavoro e una diversa gestione/offerta di spazi fisici per i lavoratori. Una possibile interpretazione può essere ricondotta alla natura attuale del ruolo manageriale, nella quale l’autonomia di scelta di strumenti, spazi e tempi di lavoro è già una caratteristica peculiare.
Infine, le conseguenze del lavoro agile generano complessivamente un vantaggio sulla vita personale e professionale dei manager, tradotti nella possibilità di dedicare più tempo alla famiglia e di beneficiare di un cambiamento della cultura aziendale.
QUALCHE INFORMAZIONE E DATO SUL LAVORO AGILE IN ITALIA
Premessa | Il concetto di lavoro agile è stato disciplinato solo nel 2017 con la legge nr. 81 del 22 maggio (Capo II) e le organizzazioni interessate ad implementare questo nuovo approccio al lavoro lo vedono come uno strumento per raggiungere:
– Aumento produttività;
– Riduzione tasso assenteismo e turnover;
– Riduzione costi gestione degli spazi fisici (locazioni, riscaldamento, postazioni);
– Riduzione di alcuni costi relativi al personale (buoni pasto, straordinari);
– Salvaguardia dell’ambiente (tramite riduzione traffico e inquinamento).
Gli aspetti chiave del concetto di smart working si possono riassumere con il modello delle 3B – behaviours, bytes, bricks – (Clapperton, Vanhoutte):
– BEHAVIOURS: comportamenti. La regola è ottenere i risultati previsti nei tempi prefissati, al massimo della qualità. Il primo passo per una buona riuscita applicativa dello smart working è proprio uscire dallo schema mentale classico e concentrarsi sulla modernizzazione della cultura lavorativa. Allo stesso modo non è più necessario uno stretto monitoraggio delle attività da parte dei manager: i lavoratori sono formati e responsabilizzati sulla gestione del tempo. L’elemento chiave è la fiducia, non il controllo.
– BYTES: tecnologie. Ogni organizzazione ha la possibilità di scegliere le piattaforme tecnologiche e le applicazioni più idonee a raggiungere i propri obiettivi di smart working. Si tratta di strumenti molto spesso collaborativi, che consentono di scambiarsi informazioni in tempo reale e in qualsiasi parte del mondo.
– BRICKS: spazi fisici. L’ufficio non scompare, ma anzi si evolve. I luoghi di lavoro smart sono pensati per essere più confortevoli, prevedendo zone differenziate che permettono per esempio di concentrarsi in autonomia oppure condividere momenti con i colleghi. Il lavoratore ha la facoltà di scegliere il posto in cui stare, entro il perimetro fisico dell’azienda oppure fuori, scegliendo un luogo che ritiene adatto (abitazione, parco, coworking etc).
La situazione in Italia | Il report dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano (presentato durante il convegno “Smart working: sotto la punta dell’iceberg”, lo scorso ottobre) mostra che il numero dei lavoratori che godono di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati è aumentato del 14% rispetto al 2016 (e del 60% rispetto al 2013): gli smart worker in Italia sono ormai 305.000 e si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori.
I numeri delle aziende | Le grandi imprese sono le principali realtà dove si attua lo smart working: il 36% ha già lanciato progetti strutturati (il 30% nel 2016), ben una su due ha avviato o sta per avviare un progetto, ma le iniziative che hanno portato veramente a un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro sono ancora limitate e riguardano circa il 9% delle grandi aziende. Anche tra le PMI cresce l’interesse: il 22% ha progetti di smart working, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate; un altro 7% di PMI non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato” in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale. In generale, sono ancora pochi i progetti di sistema che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro e estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione.
Chi sono gli smart worker | Rispetto agli altri lavoratori, gli smart worker sono caratterizzati da un’elevata mobilità nei luoghi di lavoro: trascorrono mediamente solo il 67% del tempo lavorativo in azienda, contro l’86% degli altri. Inoltre sono sempre meno legati ad una singola postazione: diminuisce rispetto all’anno passato (2016) il tempo dedicato al lavoro fisso alla propria postazione (39%) a favore di quello svolto da altre postazioni all’interno delle sedi di lavoro (15%) o in altre sedi della propria azienda (13%); per la restante parte del tempo gli smart worker lavorano in luoghi esterni alla propria azienda (presso clienti o fornitori, a casa o in spazi di coworking).
Rispetto alla media dei lavoratori gli smart worker sono più soddisfatti del proprio lavoro: soltanto l’1% degli smart worker si ritiene insoddisfatto nel complesso (contro il 17% degli altri lavoratori), il 50% è pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (22% per gli altri), il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con il capo (16% per gli altri).
Inoltre, gli smart worker ritengono di avere una più adeguata padronanza di competenze relazionali e comportamentali legate al digitale (digital soft skills), che consentono alle persone di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali per migliorare produttività e qualità delle attività lavorative. In particolare, gli smart worker hanno una superiore capacità di collaborare efficacemente in team virtuali esercitando una leadership: solo l’1% ritiene di non avere sviluppato in maniera soddisfacente questo tipo di competenza, a fronte del 27% degli altri lavoratori.
Alcuni numeri sui benefici per le imprese | L’Osservatorio ha misurato anche i benefici dello smart working, stimando l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di smart working nell’ordine del 15%. Sulla base della tipologia di attività che svolgono, i lavoratori che potrebbero fare smart working sono almeno 5 milioni, a fronte dei 305.000 attuali smart worker: ipotizzando che la pervasività dello smart working possa arrivare al 70% dei lavoratori e proiettando l’impatto a livello complessivo di sistema Paese, l’effetto dell’incremento della produttività media del lavoro in Italia si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro.
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