Da una parte il Jobs Act ha introdotto delle novità nel mercato del lavoro, dall’altra si rincorrono ancora a sette anni dall’inizio della crisi le notizie di chiusure di stabilimenti e licenziamenti.
Sicuramente, l’approccio individuale al lavoro sta profondamente cambiando. Negli ultimi sessant’anni il mercato del lavoro ha funzionato come un lungo e inesorabile nastro trasportatore, simile a quello che si trova negli aeroporti. Tutti ci salivano sopra: c’era chi stava fermo, chi si metteva a camminare e chi a correre. Diverse tra di loro le categorie di lavoratori che ne usufruivano, ma tutti godevano di un sistema che li portava avanti automaticamente: l’operaio rimaneva appoggiato al corrimano e arrivava tranquillo alla pensione; l’impiegato camminava e quindi riusciva a salire nella scala gerarchica diventando “un capetto”; il manager ci correva sopra e faceva una brillante carriera con buone soddisfazioni economiche.
Peccato che il nastro trasportatore si sia rotto e non ci siano più i soldi per ripararlo. Pochi hanno pensato che questo modificasse l’approccio al lavoro per tutti, o meglio, pochi hanno pensato che questo fosse un problema loro. Era come se l’intero sistema lavorativo si fosse narcotizzato per il fatto di conoscere il futuro, perché il futuro si ripeteva. Tutti si illudevano che il nastro trasportatore avrebbe, comunque, funzionato. Si dava per scontato che lo Stato, le aziende, i sindacati e le famiglie avrebbero sempre aiutato tutti.
Oggi invece, con uno Stato assente, perché concentrato a pagare i debiti, con le aziende precarie, perché in crisi di idee e di mercato, con i sindacati a corto di ossigeno, perché tra un po’ rimarranno solo con i pensionati, con le famiglie in bolletta perché a corto di risparmi, il lavoratore si trova in una condizione di solitudine che, in troppi casi, diventa un dramma.
Cambiare paradigma non è mai facile visto che costa fatica e occorre abbandonare le aree protette, ma in questa “nuova partita” che è iniziata è necessario rendersi conto che ognuno deve diventare artefice del proprio futuro lavorativo. Sicuramente le politiche attive post licenziamento devono rappresentare i veri ammortizzatori sociali e costante deve essere la formazione all’interno delle aziende.
Peccato che tutto ciò non basti. Questa situazione critica può costituire un’occasione storica, perché permette al singolo di diventare un lavoratore-adulto, in grado di autodeterminare la sua capacità di stare sul mercato e di far coincidere i suoi talenti con la sua professione; un individuo cosciente di dover tenersi “in forma” al lavoro, attraverso una dieta sana e del buon movimento.
La dieta serve perché occorre un’alimentazione fatta di nuove conoscenze e competenze. Alimentare le competenze vuol dire valutare, giorno dopo giorno, se gli “attrezzi” del proprio mestiere sono funzionali a quello che si sta compiendo e se saranno in grado di essere utili ad accedere e/o creare un nuovo lavoro. Il movimento è utile per essere “leggeri”, pronti a cambiare ruolo, a scendere o salire nella scala gerarchica, in grado di passare da imprenditori a manager, da manager a operai, da operai a imprenditori.
Essere consapevoli di quanto sia importante adottare una dieta sana e un corretto movimento per mantenere, cercare e cambiare lavoro, non è un intervento semplice e per tutti i gusti. Non è un’operazione da “quattro salti in padella”. E’ la sfida che il sistema educativo deve darsi fin dalla prima infanzia: spingere moltissimo sulla curiosità, perché è dalla curiosità che normalmente nasce il desiderio ardente, di osservare, di imparare e innovare; occorre alzare l’asticella del merito e del rigore. Troppo compiacimento si osserva tra i banchi di scuola. Lo Stato deve liberare i vincoli contrattuali che bloccano la produttività. I sindacati hanno la necessità di ripensarsi trovando nuovi scopi ben oltre la mera difesa del posto di lavoro. Le aziende hanno il dovere di creare degli ambienti stimolanti a tutti i livelli, che non “addormentino” le persone, che si aprano ad una cultura manageriale fatta di misurazione e di condivisione, dove ognuno si sente valutato e conseguentemente riconosciuto e gratificato. Per sconfiggere l’obesità lavorativa che abbiamo creato, è necessario un duro allenamento; un lavoro su se stessi, sui propri punti di forza e di debolezza. Nessuno è escluso.
Già da qualche tempo si è coniata l’idea dell’imprenditore di se stesso. In fondo l’imprenditore è uno che, credendo in sé, vuole con tutte le sue forze realizzare un suo sogno. Ma non tutti possono avere le capacità di puntare a creare grandi progetti. A quest’ idea dobbiamo affiancare quella dell’artigiano di se stesso. L’artigiano ama prima di tutto il suo lavoro quotidiano, trova nella manualità un piacere, anzi una gioia come descrive David Gauntlett nel suo ultimo libro “La società dei makers”. Ma l’artigiano di sé stesso va oltre la logica di chi opera con la manualità perché è colui che si re-impossessa, nei diversi ambiti, della sua professione, non lascia ad altri che decidano del suo futuro, non appalta all’esterno le proprie aspirazioni. E’ fautore del suo destino.
I segnali di un cambio di rotta ci sono, e sono evidenti. Migliaia di giovani laureati non aspettano di ammuffire e vanno in altri paesi alla ricerca di fortuna. Si tratta di una nuova emigrazione, non più accompagnata da valigie di cartone, ma da pc portatili, non più fatta di sudore fisico, ma di idee brillanti. Sono soggetti che prima o dopo – in gran parte – torneranno e potranno fertilizzare la nostra economia. Schiere di giovani si lanciano nella creazione di start up tecnologiche o rigenerano lavori manuali a cui danno un contenuto di innovatività (nel bel sito laureatiartigiani.it si trovano molti casi).
Il problema rimane per quei milioni di lavoratori che non possono o non vogliono capire che il nastro trasportatore ha finito il suo lento funzionamento. Su questo occorre mobilitare tutte le risorse culturali ed economiche dando “solidità” ai singoli attraverso un sistema che li aiuti a capire quali sono le loro competenze e capacità, vengano certificate e via via sviluppate. Questo è il grande e faticoso “traghettamento” che ci aspetta. Questa è la vera grande riforma che ognuno deve tenere ben in testa.
Luca Vignaga – HR Director Marzotto Group e Consigliere AIDP
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